Superiore, ma non per forza migliore

Al termine della scuola media, avendo la passione dei computer fin dalla quasi tenera età, fu per me scontata la scelta di iscrivermi all’I.T.I.S. Italo Calvino. Il programma prevedeva che frequentassi il biennio col progetto sperimentale ABACUS e il successivo triennio informatico. Programma che, però, non tenne conto del mio odio viscerale per lo studio.
La scuola in sé non era male, anche se per raggiungerla dovevo prendere l’autobus.
Il complesso scolastico includeva un campetto da calcio, una pista per i 100 metri piani, una piscina comunale e un bar. Unica nota dolente: era quasi tutta in prevalenza frequentata da studenti maschi.

L’estate era finita da poco. All’epoca ero un tifoso sfegatato sia del Genoa sia dell’Italia, quindi non posso omettere i particolari sportivi di quel periodo.
Le “notti magiche” del Mondiale italiano ci avevano lasciato con l’amaro in bocca: l’Italia avrebbe potuto vincere tranquillamente la competizione se non ci fosse stata l’Argentina di Maradona, Caniggia e del portiere pararigori Goycochea.
La Nazionale, che fino a quel momento aveva giocato sempre a Roma (senza subire nemmeno un gol), proprio contro l’Argentina finì ironicamente a Napoli, città dell’idolo argentino.
Una vera beffa, soprattutto perché i napoletani obbedirono a sua maestà Maradona (indubbiamente uno dei migliori calciatori del mondo di tutti i tempi, ma anche uno dei più strafatti) e tifarono per la selezione sudamericana:
Ecco la formazione base dell’Italia: Zenga, Bergomi, De Agostini, Ancelotti, Ferri, Baresi, Donadoni, Berti, Vialli, Giannini, Schillaci.
Quell’anno il Genoa avrebbe disputato un campionato stellare, arrivando al quarto posto in Serie A (risultato ripetuto in seguito solo nella stagione 2009/2010) e classificandosi per l’UEFA.
Purtroppo nello stesso anno l’odiata Sampdoria vinse addirittura la scudetto, ma il Genoa si prese la soddisfazione di vincere un derby magico, grazie a una prodezza balistica di Branco.
La formazione di quel Genoa: Braglia, Torrente, Branco, Eranio, Caricola, Signorini, Ruotolo, Bortolazzi, Aguilera, Skuhravy, Onorati. Presidente: Spinelli. Allenatore: Bagnoli.

In UEFA il Genoa venne eliminato dall’Ajax in semifinale. Non so se sia vero quanto sto per dire, ma alcuni addetti ai lavori dicono che i giocatori persero apposta in quanto pretesero un adeguamento verso l’alto degli stipendi. Un peccato, viste le vibranti partite contro l’Oviedo e il Liverpool.
Sebbene il calcio ora non m’interessi più, è necessario capire quanto fosse importante per il me versione adolescente, visto che occupava gran parte dei miei pensieri.
Come tanti altri della mia generazione (e come Holly e Benji, Capitan Tsubasa in originale), anche io sognavo di diventare calciatore. I miei genitori non mi iscrissero mai in una squadra di calcio perché, a loro modo di vedere, avrei dovuto pensare a studiare.
Come penso di aver già dimostrato negli articoli precedenti, e come confermeranno le parole che leggerete, fare le cose per dovere e non piacere non mi motiva né mi spinge a ottenere grandi risultati. Non ero un fuoriclasse, ma me la cavavo alla grande e stavo pure migliorando. In ogni caso non mi fu data nemmeno la possibilità di provarci.
È un rimpianto? Col senno di poi direi di no, ma una parte di me non può non considerarlo tale.

Avendo cambiato casa durante il passaggio tra le medie e le superiori, persi di vista gli amici di strada con i quali giocavo a pallone. L’approdo alle superiori mi allontanò anche dal mio miglior amico dell’ultimo anno delle medie.
Iniziai a trascorrere sempre più ore in casa e sempre meno all’aperto, dedicando parte del tempo libero alla lettura dei romanzi di Stephen King. Divenni fanatico di due serie tv: MacGyver e I segreti di Twin Peaks. Mi pettinai come Dale Cooper, acquistai il libro autobiografico di quest’ultimo, un coltellino svizzero e un miniregistratore, che utilizzai per immortalare su nastro le mie giornate (ne parlo meglio in questo articolo).
Feci amicizia con un compagno di classe, ma durò il tempo di una stagione.
Tranne quando si parlava di calcio, con gli altri compagni non andavo molto d’accordo. Alcuni vennero comodi, però, come spacciatori di riviste e film porno.

Penso di aver dimenticato di accennarlo negli articoli precedenti: a scuola (elementari, medie e superiori) finivo sempre per essere uno dei più piccoli per statura. Mentre gli altri parevano già adulti navigati e consumati, io avevo ancora fattezze tutto sommato coerenti (e forse qualcosa di meno) con la mia età anagrafica.
In famiglia, presumo per una questione genetica, abbiamo sempre dimostrato meno anni di quelli riportati sulla carta d’identità. E io non facevo eccezione.
Tra il me eterno ragazzino (anche da un punto di vista mentale) e gli altri si creava spesso un solco invalicabile che rendeva problematica l’interazione sociale.
Non che me ne importasse qualcosa, sia chiaro.

Personalmente, fatta eccezione per la possibilità di disporre come meglio volevo del mio tempo, non ho mai avuto troppa fretta di crescere. L’avevo dimostrato più volte evitando di fumare e bere solo perché lo facevano gli altri. E ribadii il concetto quando, divenuto maggiorenne, non accennai minimamente alla volontà di conseguire la patente di guida per l’auto.
Il bello è che i miei genitori si lamentavano pure: dovevo stare in casa per studiare, ma sarei anche dovuto uscire come tutte le persone “normali”. Forse sarebbe stato meglio se avessi iniziato a farmi le canne e a rubare le marmitte dei motorini, come facevano quei finti adulti?
Iscrivermi a una squadra di calcio mi avrebbe, o forse no, consentito di rimanere discretamente socievole (pur senza gli eccessi di chi andava in discoteca e si comportava da teppista), invece mi isolai sempre di più con la tv e il computer per le inevitabili differenze di vedute tra me e molti miei coetanei che non vedevano l’ora di emanciparsi dalla famiglia.
Per fortuna nemmeno in giovane età avevo l’interesse di adeguarmi al branco, quindi i miei genitori si scontrarono con la mia proverbiale testardaggine e, malgrado tutto, furono costretti a issare bandiera bianca.
Almeno posso dire che la mia vita da nerd (casalingo e solitario, non un finto nerd moderno e socievole) fu una scelta voluta e che non rimpiango nemmeno a decenni di distanza.

Essendo già pratico di computer scelsi liberamente d’iscrivermi all’I.T.I.S.
Il primo anno fu un vero disastro, perché non riuscii ad ambientarmi a quei ritmi così sostenuti e forsennati. Alcuni professori, poi, erano dei veri idioti, soprattutto quello di fisica (delle particelle, non ginnastica) che ripeteva in continuazione “Dio koala”. Credeva di essere simpatico? Non lo so. Forse sono io ingiusto, perché lo vedevo con gli occhi di uno studente che odiava la scuola.
Il periodo coincise con la sperimentazione del biennio ABACUS. Essendo sperimentale, appunto, quel biennio ora è come se fosse finito nel cesso, almeno da un punto di vista formativo.
Nella classe accanto c’erano un paio di ragazze con le quali io e un mio compagno di classe avevamo stretto amicizia. Essendo troppo concentrato sull’aspetto esteriore, credo di aver perso l’occasione di stringere un legame più profondo e maturo con quella più bassa delle due. Ma io, in senso sentimentale, non ero ancora maturo. Rimpianto, perché era carina e simpatica.
Complice l’approssimarsi della Guerra del Golfo, approfittavo delle solite manifestazioni studentesche per fare “sciopero” almeno una volta alla settimana.
Invece di aggregarmi ai pacifisti tornavo a casa, guardavo la tv, giocavo al computer oppure, se ero solo, tiravo fuori dal doppio fondo del mio cassetto qualche pornazzo.
A volte non andavo a scuola nemmeno il pomeriggio (altra insopportabile differenza rispetto alle elementari e alle medie), solo perché non ne avevo voglia.
Tante assenze + impegno zero = bocciatura assicurata. Ripetei l’anno.

Il nuovo biennio andò meglio; due bocciature alle spalle (seconda media e prima superiore) significavano essere più grande di due anni degli altri studenti.
Nuovi compagni di classe e nuovi professori, tranne l’insegnante d’inglese che rimase la stessa.
Ora penserete nuovamente male di me, ma avrei tanto voluto fare sesso con lei. Mi arrapava come poche, ancora più della prof di educazione fisica delle medie.
Una mattina come tante, durante il cambio dell’ora, la prof mi si avvicinò e mi accarezzò la guancia. E, senza scendere nei particolari, non rimasi indifferente.
Sicuramente l’aveva fatto senza alcun secondo fine, visto che poi non successe di nuovo. Ammetto che in quel momento, se mi avesse chiesto di seguirla nei bagni degli insegnanti o anche altrove, ci sarei andato molto volentieri.
Devo nuovamente tirare in ballo l’argomento sessuale, anche se lo trovate antipatico. Ma non voglio tralasciare nulla.
So che ero minorenne, so che forse la prof sarebbe finita nei guai e io sarei stato visto come una vittima manipolata, so che in quel contesto ogni approccio fisico è tuttora considerato reato. Ma ricordo perfettamente quello che provavo, inclusa la mia intenzione di avere rapporti sessuali con lei. Non mi sarebbe mai venuto in mente di sposarla, ma di fare sesso sì.
Voglio davvero provare a capire: ero io quello strano? Coraggio, dite la vostra senza filtri.
In ogni caso aggiungo anche questo alla lista dei rimpianti: non aver osato di più con la prof.

Il biennio significò tanto anche da un punto di vista, diciamo così, letterario.
Il prof d’italiano e storia ebbe il merito d’inculcarmi a forza, anche a suon di pugni sulle spalle, quelle regole grammaticali che adesso mi consentono di scrivere almeno in maniera accettabile.
Ricordo con terrore i bigliettini contenenti alcuni estratti de “I promessi sposi” e l’estrazione per decidere chi interrogare. Cazzo, quanto odiavo quel romanzo di merda… Credo di detestarlo ancora adesso per uno sorta di timore reverenziale. Eppure è presente per scelta nella mia libreria personale e, un giorno o l’altro, giungeremo alla resa dei conti. Non ti temo più, Alessandro “ti venisse la peste” Manzoni.
Un giorno venni interrogato e presi un’insufficienza, così me ne andai dall’aula incazzato nero, ma non prima di aver assestato un bel calcio a banco e sedia. Risultato: convocazione dei genitori e solita morale che bisognava impegnarsi e le solite belinate sul dovere scolastico sciorinate a mamma e papà.
“Verba volant, scripta manent”, disse il prof a proposito di interrogazioni e compiti in classe, come a suggerirmi di prestare maggiore attenzione allo scritto.
Nei temi andavo bene, senza falsa modestia: fantasia a iosa (che ho ulteriormente sviluppato) e disciplina grammaticale soddisfacente (attualmente aspiro a diventare il più nazi dei grammar nazi). Di sicuro non potevo prevedere che, un giorno, le avrei rivalutate così tanto.
Non posso esserne certo, ma credo che se mi fossi impegnato di più (o se avessi scelto addirittura un indirizzo di studi diverso), adesso riuscirei a scrivere come un vero letterato. Ma anche no, perché se fosse stato un obbligo avrei odiato scrivere.
Non lo inserisco tra i rimpianti, perché un “se avessi…” non è sinonimo di azione diretta e consapevole.

Pur andando d’accordo con i compagni di classe, non feci amicizia con qualcuno in particolare. Entrai comunque nel giro dei videogiochi piratati, comportamento che mi spinse ancora di più nel mondo virtuale.
Stravedevo per Beverly Hills 90210, per le tette di Kelly e per le pettinature di Brandon e Dylan (ogni giorno ne avevo una diversa). Comprai e lessi anche tutti i romanzi pubblicati, ma presumo che non dovrei sbandierarlo ai quattro venti come se fosse motivo di vanto.
Durante l’ultimo anno del biennio registrai anche i voti più alti in assoluto: 8 in disegno tecnico (rispetto al disegno a mano libera mi permetteva più precisione) e fisica (delle particelle, non ginnastica). L’8 in fisica, tra l’altro, arrivò a causa di una risposta sbagliata dovuta a un ripensamento, altrimenti avrei preso 9. Piccolo rimpianto anche questo, ma di poco conto.
Pur volendo fare sesso con la prof d’inglese, la materia che insegnava non era di mio gradimento (e nemmeno ora). In effetti non mi spiego come, pur ottenendo sempre scarsissimi risultati, me la cavai sempre senza essere rimandato. No, giuro che non ci sono andato a letto.
È pur vero che, in previsione di un compito in classe decisivo, pagai una ragazza universitaria per tradurre per me il testo che avrei poi ricopiato senza tanto pudore. Lei guadagnò 20000 lire e io un 7 che mi consentì di vivere di rendita e arrivare a fine anno con due materie da recuperare (tra le quali l’odiosa matematica, ma non inglese).

Ora mi viene da pensare questo: andando meglio nelle materie scientifiche rispetto a quelle informatiche, forse avrei dovuto puntare sul liceo scientifico? Oppure, tenendo conto del valore che ha adesso la scrittura per me, sarebbe stato meglio il liceo classico?
Col senno di poi non si ottiene niente, e ho pure la sensazione che, per com’ero e come vivevo il periodo scolastico, ogni scelta effettuata si sarebbe rivelata ugualmente fallimentare da un punto di vista dell’impegno e dei risultati ottenuti.
Ho sempre provato questa forte ritrosia nei confronti del dovere. Non delle regole, attenzione: alcune le approvo e le seguo alla lettera.
Ma il dovere… l’essermi scontrato con un percorso di vita già prestabilito (nasci, studia, lavora, muori)… l’obbligo di essere l’ingranaggio di un meccanismo chiamato società…
Siamo individui pensanti o una (stupida) mente alveare?

Pur con qualche piccolo problema arrivai alla fine del biennio e al bivio decisivo: scegliere il triennio elettronico o informatico? Senza alcun dubbio optai per quest’ultimo per un ragionamento fallace: preferivo usare i computer anziché costruirli.
Non l’avessi mai fatto…
Non avete idea di quanto rosicai quando vidi quelle ragazze gnocche dell’indirizzo elettronico. Sedicenni porche, arrapate e, chissà come mai, pure secchione.
Va bene che ero un nerd che, almeno in teoria, avrebbe smanettato con i computer per lavoro, ma gli istinti primari non potevano essere soffocati dalla passione. Mussa batte computer 100-0. Io avevo scommesso sulla squadra perdente. Fanculo.
Stando al racconto di un ex compagno di classe del biennio una di loro faceva lavori di mano per 10000 lire e di bocca per 20000 lire.
Mi direte: “Non potevi pagare come tutti gli altri?”. No, il principio di pagare per ricevere gratificazione sessuale non mi è mai andato a genio. O si fa per piacere mio e suo oppure niente.
Meno male che c’erano le studentesse dell’alberghiero…

Il primo anno del triennio ritrovai un compagno del primo anno delle superiori, con il quale avrei fatto amicizia grazie alla passione per i videogiochi. Con lui ci recavamo ogni tanto da uno spacciatore di videogiochi piratati (un genio, visto che aveva anche un negozio che poi è fallito…) che, secondo me, con quella scusa attirava ragazzini a casa propria. Fosse stato almeno una donna…
Il prof d’informatica era una vera sagoma: cervello indubbiamente sopraffino (giocava a scacchi mentalmente, dormiva due ore per notte etc.), ma pieno di divertentissimi tic nervosi. Io mi sganasciavo letteralmente dalle risate e, pur essendo nel primo banco, beccava sempre gli altri a ridere.
A volte cambiavo l’espressione da “lacrime agli occhi” a “imperturbabile” in due secondi netti; quel talento nascosto mi valse l’appellativo di double face. Purtroppo, poco prima della fine dell’anno, il prof mi beccò quell’unica volta e persi la mia imbattibilità.
Questo lo inserisco tra i rimpianti frivoli.
Il prof d’italiano, pelato, invidiava la mia folta chioma. Un giorno me lo disse chiaro e tondo: “Quando ti guardo patisco”.
Quell’anno mi divertii davvero molto: compagni di classe scemi al mio stesso livello e, soprattutto, maggiore età e firma sul libretto delle giustificazioni.
Tradotto: libertà assoluta.

Per mantenere fede a miei solidi ideali di ribellione studiai ancora meno che negli anni precedenti, complice anche un nuovo trasloco (sempre nello stesso quartiere) e la successiva separazione dei miei genitori.
Le bagasce del triennio elettronico continuarono a rimanere irraggiungibili per noi nerd sfigati, ma ci consolammo con le zoccolette del già citato alberghiero, che erano davvero niente male.
Grazie alla maggiore età potevo anche scegliere in totale autonomia quando non andare a scuola. Tecnicamente non marinavo, perché io stesso potevo giustificare la mia assenza; tuttavia, trovandomi comunque bene in quella classe, la frequenza rimase inaspettatamente alta fino alla fine. In questo articolo racconto nel dettaglio la mia strategia per le assenze.
L’impegno, invece, era nullo, zero, assente, nemmeno ai minimi termini; ormai ero senza controllo. E questo lo metto tra i rimpianti, perché avrei potuto trascorrere altri due anni scolastici in un ambiente gradevole.

Un giorno andammo in gita a La Spezia ma, per non so quale problema, la classe rimase indietro, così salii sul treno senza di loro.
Non c’erano i cellulari, quindi non potevo contattare nessuno. Arrivai a La Spezia, controllai l’orario dei treni e andai a spasso da solo per un’ora circa.
Conoscevo già la città avendo pernottato mesi prima per i tre giorni di visita d’idoneità al servizio di leva, quindi passeggiai senza pormi tanti problemi.
Tornai in stazione giusto in tempo per assistere all’appello della classe nella piazza; mi videro arrivare con perfetta nonchalance, mentre slinguazzavo un gelato gusto fragola/puffo (più o meno era rossoblu, i colori ufficiali del Genoa).
Venni cazziato di brutto dal prof di elettronica, ma cos’avrei dovuto fare? Attendere in stazione come un ebete?
Nel corso della giornata io e altri quattro compagni di classe ci staccammo dal gruppo e percorremmo le Cinque Terre a piedi e in perfetta armonia con la natura.
C’eravamo integrati così tanto che, per poco, uno di noi non cadde in una scarpata, salvandosi solo grazie a una foglia (nel senso che si aggrappò a un ramoscello e la foglia sostenne tutta la sua massa corporea).
Percorremmo la Via dell’amore e arrivammo in stazione con il resto della classe già lì in attesa. Nuova cazziata del prof, che ormai mi aveva preso di mira.

Ricordate il ragazzo che stava per cadere nella scarpata? Un giorno finì davvero all’ospedale.
Con la classe eravamo andati al cinema per vedere Schindler’s list; al termine del film andammo a mangiare tutti in un ristorante.
Io, quel ragazzo e un altro gruppetto ci sedemmo attorno a un tavolo e qualcuno ordinò un po’ di bottiglie del vino Lancers. Premetto che anche gli altri, essendo già stati segati in precedenza, erano maggiorenni, quindi non c’era alcun problema a ordinare alcolici (certo, il prof avrebbe potuto comunque evitarlo).
Io mi limitai ad assaggiarlo e poi stop, mentre facemmo letteralmente ubriacare il nostro compagno. Credo che si scolò, come minimo, almeno due litri di vino.
A un certo punto si alzò, barcollò fino alla cassa e vomitò l’impensabile, il tutto di fronte a un’atterrita cameriera che avrebbe dovuto pulire. Dopo pochi minuti venne l’ambulanza per portarlo in ospedale. Mi telefonò a casa la sera di quel giorno, bello arzillo e pimpante.
La fine di quell’anno scolastico arrivò decisamente troppo in fretta. Giunse, come si può intuire, anche l’ennesima bocciatura.

Decisi, a malavoglia, di iscrivermi nuovamente (più per rimandare il militare che per altro…).
La sfiga mi colpì nuovamente, perché venni assegnato alla sezione diversa da quella dell’anno precedente: nell’altra vennero inserite delle studentesse decisamente arrapanti. Imprecazioni a iosa. Prima l’indirizzo sbagliato, poi la sezione sbagliata.
Ormai demoralizzato decisi che avrei fatto trascorrere l’anno senza fare letteralmente niente.
Essendo più grande (aggiungete tre anni) di buona parte dei miei nuovi compagni, si manifestarono un distacco e un’indifferenza niente male.
Ritrovai la mia adorata prof d’inglese (cambiata il primo anno del triennio) e una prof d’italiano niente male. Nei confronti della prima avevo ormai perso interesse, mentre la seconda mi consentì almeno di esercitare la mia fantasia (non sessuale, smettetela di pensare sempre male di me).
Fare i compiti era divenuto un concetto astratto ma, evidentemente, nessuno l’aveva ancora capito. Comunque, non so se per darmi ancora fiducia o per farmi fare una figuraccia (ma non credo), una mattina la prof m’invitò alla cattedra per leggere di fronte alla classe il tema che avrei dovuto svolgere a casa.
Andai alla cattedra con il quadernone e l’aprii: tutte le pagine erano immacolate, visto che non lo utilizzavo più da mesi. Quell’inutile e insensata interrogazione m’irritò al punto tale che, anziché riconoscere la mia colpa e togliermi il pensiero, accettai la sfida e decisi d’improvvisare il tema seduta stante.
Feci finta di leggere ma, complice l’inclinazione del quadernone, scrissi il tema seguendo l’ispirazione del momento. Alla fine aprii gli anelli, tolsi il foglio e lasciai il tema in bella vista sulla cattedra. E presi pure un bel voto. Tiè!

Ovviamente quella fatica non servì proprio a un bel niente. Verso la fine dell’anno si potevano contare più settimane d’assenza che di frequenza.
Il mio ex compagno di classe (quello che si era ubriacato) divenne la mia talpa: tramite una fitta rete di contatti, all’uscita da scuola mi aggiornava su eventuali comportamenti anomali dei prof. In qualche modo, una volta tornato a casa, dovevo mantenere un atteggiamento coerente con una mattinata trascorsa in aula.
Andavo a imboscarmi in giro per Genova (solitamente nei vicoli) oppure in un parco con villetta poco distante da scuola. Ogni tanto beccavo qualche vecchio compagno di classe, ogni tanto rimanevo da solo e ogni tanto andavo alla ricerca di ragazze dell’alberghiero.
Stavo così tanto fuori che, al rientro a casa, mi gettavo a capofitto sul computer, come se sentissi la necessità di tornare nel mio vero mondo: quello virtuale. Non lo era ancora ufficialmente, ma lo sarebbe diventato.
Chiaramente arrivò l’ennesima bocciatura: la terza alle superiori, la quarta complessivamente. Fine definitiva del mio ciclo di studi.

Bene, questo era quello che volevano i miei genitori: che rinunciassi alla mia passione per il calcio per dare priorità allo studio. Spero siano soddisfatti.
Di cosa parlerò la prossima volta? Indizio: M. M.
Però pubblicherò l’articolo lunedì, visto che avete l’inusitata abitudine di trascorrere la domenica all’aperto e in mezzo alla gente. Contenti voi…

Vittorio Tatti

16 pensieri su “Superiore, ma non per forza migliore

  1. Credo fosse normale l’attrazione per la prof di inglese. In quel periodo si è pieni di ormoni… Poi se un giorno quella che ti piace ti fa pure una carezza alla guancia…

  2. Essendoci poche ragazze penso sia normale avere fantasie su una prof.
    Non so se il classico sarebbe stato meglio, te l’avrebbero fatto odiare italiano perché i temi li facevi di letteratura, mai fatto nel triennio un tema di “fantasia”, tutta analisi del testo. Io sono stata ammessa alla maturità con il 5 a italiano e l’ho rischiato pure a filosofia. Forse ti saresti trovato bene alle magistrali ma penso che saresti stato parecchio distratto. 😅

  3. Penso che sai già di essere strano, no? 😁 (E’ la risposta alla tua domanda)

    Nel biennio anche a me la prof di italiano mi ha lasciato un debito proprio su “I Promessi Sposi” a causa di un’ultima mancata interrogazione che ho dovuto recuperare al terzo con una prof differente che mi odiava e mi sfidava. Però, non ho mai letto i capitoli originali: avevo un piccolo libricino riassuntivo che era stato utilizzato da mia madre ai suoi tempi ed integravo quelle piccole cose aggiuntive che mancavano.

    Sugli obblighi ti capisco, perché anche con me non funzionano.

    Non ho capito però se ti sei diplomato alla fine.

    • Per caso utilizzavi il Bignami?
      Ricordo che veniva visto con orrore dai nostri professori perché riassumeva troppo i concetti utilizzando un linguaggio semplice (quindi senza insegnarci nulla).

      Dopo aver ripetuto per l’ennesima volta la terza ho abbandonato gli studi, quindi la risposta è negativa.

    • Ah, un appunto al quale tengo e che si ripete spesso nei tuoi racconti personali: quel termine offensivo che usi per le ragazze “espansive” sarebbe meglio per te non utilizzarlo; perché, se ci fai caso, tu sei stato esattamente come loro nella versione maschile.

  4. Ho insegnato in un ITIS per 25 anni… forse per questo molti dei tuoi racconti mi suonano familiari. Quanti ragazzi ho conosciuto, pluriripetenti, intelligenti, ribelli, incapaci di adattarsi a un mondo così particolare, e in gran parte assurdo, come quello della scuola, e della scuola tecnica in particolare! e quanti colleghi teste di cavolo con intercalari idioti e una certa vena di sadismo… Capisco che i tuoi insegnanti si siano incazzati per le tue iniziative anarchiche durante la gita: mi ricordo di una volta che portai una classe a Firenze e un gruppetto di ragazzi mi sparì, telefonai a uno di loro (eravamo già in era cellulari) e lo insultai con le peggiori parole… perché in questi casi, se succede qualcosa, la responsabilità è del prof!

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