Fatale (parte 2 di 9+1)

Questo racconto è molto liberamente tratto dalla mia recente esperienza con la Musa; molto liberamente significa che è inventato al 90% e che rappresenta unicamente il mio punto di vista. Qualche paragrafo conterrà materiale VM18.

Parte 1 di 9+1

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Iniziai io a seguirti e tu seguisti a ruota, inizialmente forse solo per ricambiare come gesto di cortesia. Riuscisti fin da subito a rapirmi, a insinuarti nella mia mente. Non tanto per il contenuto che proponevi nel blog, ma per la tua personalità così acuminata, spigolosa. Fu impossibile rimanerne indifferente.
Ben presto mi accorsi del penetrante piacere di commentare i tuoi saggi e arguti aforismi. E non ti dico il batticuore ogni volta che ricevevo la notifica di un commento alle mie poesie.
A volte, prendimi pure per scemo, restavo in attesa del segnale della tua presenza virtuale fissando inebetito lo schermo del computer. Il mio respiro era costantemente irregolare a causa dell’ansia. Mi mancavi terribilmente. Telepaticamente di contattavo per implorarti di farti viva il più presto possibile, altrimenti il senso di abbandono mi avrebbe devastato.
Mi terrorizzava l’idea che, se mi fossi allontanato dal computer per dedicarmi ad altre faccende, ti avrei persa per sempre. Cosa sarebbe successo se non avessi replicato a un tuo commento un millisecondo dopo? Ti saresti concessa a un altro? Avresti scambiato il mio ritardo per indifferenza? Non potevo tollerarlo in alcun modo.
Per fortuna mi venne in aiuto lo smartphone, un dispositivo che odiavo con tutto me stesso prima di conoscerti, Quando ero costretto ad assentarmi dal computer o mi trovavo fuori casa, mi mantenevo idealmente in contatto con te attraverso il mio amico portatile. Mi seguiva addirittura in bagno. Per me era essenziale farmi trovare pronto nel caso fossi comparsa dal nulla.

Ci si può emozionare per un commento di poche righe, a volte composto solo da una banale emoticon? Si può modellare un sogno con dei trilli, costruendolo poco per volta come i pezzi di un puzzle? Si può alimentare un futuro pur senza un presente ancora in essere?
Con te l’impossibile è diventato realtà. Tu mi hai reso un dio in grado di compiere miracoli grazie alla forza dell’amore. Mi hai dato la forza d’ignorare un mondo che odio. Sono addirittura riuscito a resistere per qualche ora sotto i cocenti raggi del sole, in tua compagnia.
In un certo senso posso dire che tu sia stata la mia distrazione, ma non ti renderebbe giustizia. Ritengo più sensato pensare che tu abbia estratto l’anima dal mio corpo per custodirla nel tuo scrigno insieme alla tua.
Certo che il mondo non poteva più ferirmi: non mi trovavo più lì a subirne i nefasti effetti. Il mio involucro di carne risiedeva ancora lì, ma mente e cuore avevano viaggiato per una distanza siderale, fino a raggiungere un’isola felice.

Dopo i primi apparentemente innocui commenti, la nostra interazione si rafforzò. Non sempre filava tutto liscio e, causa dei reciproci impegni, ci siamo pure persi di vista per diversi mesi. Mi avresti dato del pazzo se ti avessi confessato della mia intenzione di licenziarmi per trasferirmi nella tua città? Sarebbe stato stupido, me ne rendo conto. A bloccarmi non fu la niente affatto remota possibilità che avrei gettato la mia carriera al vento. E nemmeno che non avrei trovato lavoro e casa in un tempo utile affinché non mi trasformassi in un vagabondo senza fissa dimora.
No, fu solo il tuo temporaneo silenzio a immobilizzarmi. Fu la paura che, se mi avessi visto girovagare nelle vie a te familiari, ti saresti sentita molestata, violata, perseguitata. Fu solo il rispetto che provavo per te a impedirmi di compiere una sciocchezza.
Eppure ogni volta siamo stati in grado di ritrovare la strada per riunirci, anche se solo virtualmente. Quando ricomparivi in Rete e tornavi a commentare le mie poesie sapevo che potevo uscire dall’apnea del desiderio e respirare nuovamente l’infuso d’amore.

Conosci la leggenda giapponese del filo rosso del destino (Unmei no akai ito)? Dice che una persona, al momento della nascita, ha legato al dito mignolo della mano sinistra un invisibile e indistruttibile filo rosso che lo lega all’anima gemella. Pur avendola sempre considerata una scempiaggine, per me quel filo rosso esisteva davvero e ci legava come un’arteria vitale che nutriva il mio cuore.
Non intendo un filo solo metaforico: immaginavo realmente una sequela di atomi incolonnati che si prodigavano per trasmettere una sorta di codice segreto decifrabile solo da noi due.
La legge dell’amore esisteva ed era reale tanto quanto le interazioni fondamentali, come la gravità e l’elettromagnetismo, che regolano il mondo fisico a noi conosciuto.
Anzi, mi stavo convincendo che l’amore fosse la massima espressione di quelle interazione, in particolare la gravità e l’elettromagnetismo.
Io orbitavo intorno a te come un pianeta nei confronti della propria stella. Oppure, a seconda dei casi, a volte eravamo le molecole intrappolate in una materia solida, liquida o aeriforme.

[continua]

© Vittorio Tatti

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