La prima alba

Tralasciando il rifacimento moderno (che non ho mai visto), nella serie originale MacGyver è laureato in fisica, single, vegetariano, ambientalista, solitario, pacifista, astemio e non fuma. Odia le armi, si mostra altruista con chi è in difficoltà e, sopra ogni altra cosa, è un genio quando si tratta di realizzare marchingegni con quello che ha a disposizione, che si tratti di un flacone di candeggina, un fiammifero, uno stuzzicadenti, un tubo in ferro, una graffetta o una lente d’ingrandimento.
Acquistai il mio primo coltellino svizzero proprio dopo aver assistito con piacere a qualche puntata della serie televisiva, nel 1991. Aveva pochi accessori, ma il modello con più funzioni costava una cifra spropositata per la mia disponibilità economica (quasi tutta destinata per acquistare videogiochi piratati, riviste sul Genoa e fumetti e porno).
A conti fatti non mi fu mai realmente utile, tranne in pochi casi.

Non mi ritrovai mai a sventare un attentato terroristico o a libera una gentil donzella dalle grinfie di un sequestratore. Al massimo utilizzavo il cavatappi per stappare le bottiglie in vetro o la lente per provare a dare fuoco a qualche pezzo di carta.
Che io ricordi la lama mi servì solo in un’unica occasione.
Abitavo ancora a Genova, ero iscritto alle superiori e si stava avvicinando il periodo del reclutamento per la leva. Per motivi di studio potei rimandare l’arruolamento presentando specifica domanda presso un ufficio della capitaneria di porto.
Essendo un’area militarizzata si poteva accedere solo dopo la presentazione di un documento di riconoscimento e il modulo di convocazione. Tra un’area e l’altra c’era una porta elettronica a suddividere le varie zone.
Dopo aver svolto la noiosa incombenza burocratica scesi le scale per andarmene e mi accorsi che la porta non era stata sbloccata dal militare in servizio. Invece di tornare indietro mi armai di coltellino svizzero ed estrassi la lama. L’avvicinai allo scrocco della serratura e lo feci rientrare con una semplice pressione della lama. In due secondi netti violai un impenetrabile (?) sistema di sicurezza in un’area militare (tra l’altro sprovvista di metal detector).

Qualche mese dopo, non potendo rimandare l’inevitabile, mi toccò partire alla volta di La Spezia per i tre giorni del C.A.R. (Centro Addestramento Reclute), una visita preliminare obbligatoria prima dell’arruolamento vero e proprio.
Con mio sommo disappunto non solo mi macchiarono le dita per prendere le impronte digitali, ma requisirono pure il coltellino svizzero. Lo potei recuperare solo al termine dei tre giorni di visita, prima di tornare a casa. In quella cassaforte non era stato solo: ne avevo contati almeno un’altra decina. Tutti appassionati di MacGyver? Chi può dirlo.
Durante un’uscita pomeridiana m’imbattei in un negozio che vendeva armi e notai, esposto in vetrina, un coltellino svizzero più grande della tasca dei miei jeans; costava 120000 lire e, per parecchio tempo, rimase tra i miei oggetti del desiderio. Ovviamente non raggiunsi mai quella cifra, anche perché continuavo a spendere soldi in videogiochi o li mettevo da parte per un nuovo computer.

Quello che riuscii ad acquistare, invece, fu un miniregistratore a cassette; il periodo era sempre quello del coltellino svizzero: il 1991.
Oltre a MacGyver mi appassionai anche a I segreti di Twin Peaks. L’agente dell’FBI Dale Cooper lo utilizzava per lasciare note vocali destinate alla segretaria Diane.
Io lo utilizzavo per registrare parecchi aneddoti scolastici o domestici. Praticamente era il mio diario vocale, una sorta di antesignano del blog.
Registravo sigle televisive, spezzoni di film, lezioni scolastiche e osservazioni personali. Utilizzavo anche la funzione di attivazione vocale per immortalare eventuali anomalie notturne (fantasmi, anche se non ci credevo) o spiare durante la ricreazione i compagni di classe (come eventuale arma di ricatto, che non mi è mai servita).
Avevo iniziato una discreta collezione di minicassette (se non erro costavano 5000 lire l’una), tutte imboscate nel retro di un cassetto della mia scrivania. Una di esse conteneva, almeno a livello teorico, la prova di un mio “imbroglio” scolastico.

Un giorno mi finsi malato per non andare a scuola e saltare il compito in classe di matematica. Fortuna volle che, proprio quella mattina, una mia zia venne in visita e, per non disturbarmi mentre ero a letto, mia madre chiacchierò in cucina con lei chiudendo la porta.
Dopo pochi minuti giunse la tanto attesa telefonata che aspettavo: quella della prof di matematica che avrebbe avvisato i miei genitori del compito in classe saltato. Accorsi tempestivamente per abbassare il volume della segreteria telefonica e scambiai la minicassetta con una vuota delle mie (erano della stessa marca).
Servendomi del miniregistratore (molto più pratico da utilizzare rispetto alla segreteria telefonica) cancellai la telefonata della prof. La sovrascrissi parecchie volte registrando il silenzio ambientale, perché temevo che la registrazione si potesse recuperare in qualche modo (teoricamente possibile anche all’epoca, ma decisamente impraticabile senza un’analisi forense).

Nel primo triennio degli anni ’90 in genere indossavo jeans Levi’s, felpa O’Neill con scritta allucinogena in rilievo, orologio Tomahawk (un’imitazione del Winchester), scarpe Diadora e l’immancabile bomber. Bevevo Pepsi Cola e sgranocchiavo Raider (l’antenato del Twix) e Cipster; all’epoca non ero ancora vegano.
Andavo in giro incravattato con almeno un paio di sciarpe del Genoa (raramente messe attorno al collo: le preferivo annodate a un braccio e a una gamba). Tra polsiere e braccialetti (sempre del Genoa) si poteva scrutare un po’ di pelle delle braccia. Avevo anche spille varie per il bomber e una fascia per la fronte (sempre tutto del Genoa).

Ovviamente c’erano anche loro: il coltellino svizzero e il miniregistratore. Fuori casa penso di non aver utilizzato nient’altro più del pallone da calcio, a eccezione di questi due ammennicoli per le mie, ancora frequenti, scorribande tra le vie di Genova.
Poi, dopo aver irrimediabilmente fritto il Commodore 64 a causa di una scommessa* proposta dal mio miglior amico dell’epoca, risparmiai i soldi per un nuovo computer: prima l’Amiga 500+ e, qualche anno dopo, l’Amiga 1200 e l’Amiga CD32.
Terminarono così le mie avventure da novello Angus MacGyver e agente speciale Dale Cooper. Fu la prima vera alba della mia nerditudine.

*dissi che avrei resistito più di un giorno senza dormire; superai abbondantemente i cinque giorni, ma la notte del terzo giorno il Commodore 64 mi abbandonò a causa di un suo utilizzo eccessivo.

Vittorio Tatti

17 pensieri su “La prima alba

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