Pensieri riavvolti

Ultimamente tre notizie nazionali, su fatti a ritroso nel tempo, mi hanno dato da pensare.
La prima è che le iniziali restrizioni contro la pandemia da SARS-CoV-2 (che causa la COVID-19) non mancano solo a me, anche se per motivi diversi.
La seconda riguarda il periodo della nascita della bolla Dot.com, quando la Rete come la conosciamo aveva iniziato a fare capolino nelle case di utenti qualunque.
La terza è la disfatta della Smemoranda.

Sembra che la pandemia e il lavoro da remoto (da noi impropriamente soprannominato smart working) abbiano fatto nascere nei lavoratori la consapevolezza che il lavoro non è tutto. Ne è nato un piagnisteo continuo da parte di (im)prenditori che accusano i giovani di essere diventati degli scansafatiche non più disposti a spaccarsi la schiena per qualche spicciolo.
Resta il fatto che il mondo pareva essere indirizzato verso una nuova strada lastricata di maggior tempo libero e calo della produttività. La gente si accorse che si poteva anche stare a casa durante l’orario d’ufficio, che si poteva evitare il traffico urbano e che, udite udite, si poteva lavorare meno e meglio.
Purtroppo quella parentesi di rallentamento lavorativo e sociale è durata poco e ormai tutte le più grandi aziende mondiali stanno imponendo il ritorno alla presenza in ufficio, pena la perdita del posto di lavoro.
Poteva essere l’occasione per rivedere dall’alto il concetto di gerarchia lavorativa basata sulla domanda e sull’offerta: se tu vuoi che qualcuno lavori per te e non trovi chi accetta, allora lo devi pagare di più.
Quell’occasione, a meno che non compaia un’altra desiderata pandemia che costringa certi parassiti a chiudere, non capiterà più.
In rarissimi casi si sta sperimentando la settimana corta, che però vuol dire farti sgobbare di più durante gli altri giorni. Tradotto: non è vero che, a parità di stipendio, lavoreresti di meno.

A cavallo tra i due secoli e millenni, quindi 1999-2000, Internet non interessava a tutti. Era utilizzato e frequentato quasi esclusivamente da addetti ai lavori, professionisti e nerd appassionati (anche) di informatica; io ero uno di questi ultimi.
La casalinga di Voghera non aveva ancora un profilo su Facebook e non pubblicava imbarazzanti foto mezza nuda dal cesso di casa. I nerd e gli appassionati di computer venivano visti ancora come degli sfigati asociali.
Internet era il luogo ideale per socializzare con moderazione e al riparo da convenzioni sociali su larga scala. Considerando che il nerd tipo era sostanzialmente solitario (in alcuni casi anche sociofobico), poter interagire utilizzando e-mail, chatroom, forum e newsgroup senza uscire di casa era quasi una sorta di riscatto.
Internet ci diede la possibilità di conoscere persone affini, ben diverse dai componenti del branco di gente ubriaca, dedita a fumarsi le canne, ballare in discoteca e correre a bordo di moto truccate.
Ci si collegava esclusivamente da casa (spesso la sera, al rientro dal lavoro o dopo lo studio) e rigorosamente dal computer; avevamo quasi tutti cellulari Nokia che, in assenza del 3G, si utilizzavano per inviare valanghe di SMS.
L’accoppiata smartphone-social network andò a minare irrimediabilmente il delicato equilibrio di un ecosistema ormai estinto. Adesso noi nerd siamo alieni anche su Internet, ormai invaso dagli stessi idioti che, là fuori, ci deridevano per la nostra dipendenza dalla tecnologia.
L’unica differenza è che noi ci siamo serviti della tecnologia, loro ne sono diventati servi.

Agli adolescenti degli anni ’80 e ’90 la parola Smemoranda potrebbe rievocare l’allucinante ricordo di compiti da svolgere a casa nel tempo libero.
La Smemo, così veniva chiamata da noi studenti, non si utilizzava solo per annotare compiti e comunicazioni scuola-casa e viceversa: era una sorta di agenda con articoli di varia natura, con tanti spazi bianchi sui quali disegnare o scrivere pensieri personali (quando non esisteva nemmeno il concetto di blog) da far leggere a persone di fiducia.
Non aveva solo la convenzionale utilità didattica di un normale diario, ma veniva utilizzata per scambiare messaggi con un gruppo privilegiato di coetanei.
Alcuni miei compagni di classe, per esempio, se le scambiavano per disegnare, riportare testi di canzoni o segnare appunti personali su dove e a che ora vedersi tal giorno (dopo aver marinato, ovviamente).
Non so come funzioni adesso, ma ho idea che la Smemo – e il diario in generale – sia stata ampiamente sostituita da qualche dispositivo tecnologico. E, anche sul fronte cartaceo, temo che ormai tutti si siano buttati sul marchio Moleskine; problema che non si pone più, in quanto l’azienda che produceva la Smemoranda è sull’orlo del fallimento.
Si può dire che sia finita un’epoca, che in quel caso specifico non ricordo con malinconica nostalgia.

L’Umano

11 pensieri su “Pensieri riavvolti

  1. il punto principale da cui derivano disastri è proprio in quella differenza, tra l’utilizzo della tecnologia e il diventarne schiavi: gli albori, quelli del dos 6 su cui poggiava il resto e quelli che con la semplicità di uno smartphone riempiono il mondo con vanità smodate e narcisismi di basso profilo. La mentalità è cambiata: chi odiava la tecnologia ora la rincorre per avere l’ultimo modello di smartphone ( che ha in alcuni casi sostituito il pc) chi la cullava come un interesse da approfondire ormai è disgustato.

  2. I remember : il mio primo cellulare, un Nokia 2110 che lo pagai 1.300.000,00 lire (che numerone), compresa custudia simil-pellenera, con l’antennina sempre su, altrimenti prendeva male … 🙂 … e il diario di Holly Hobby, che non era scolastico, ma dove raccoglievo tutti i miei pensieri e le varie dediche degli amici e compagni di scuola (solo quelli ordinati, altrimenti me lo rovinavano!). Ne ho conservato uno perchè era venuto benissimo … A parte l’articolo molto interessante, grazie per lo spunto/ricordi. Mentre li scrivo me li gusto proprio … 🙂 …

  3. Beh, immagino tu sia più giovane e i prezzi calarono … Io lo presi per lavoro visto che ero spesso fuori di sera sino a tardi – non pensare male 🙂 – e mi era utile in caso di imprevisti (non per conversare perchè erano davvero pochi allora … 🙂 … Mamma mia quanto sono “datata”!!!

      • Immaginavo, sei più giovane. Penso che i primi si acquistassero effettivamente per necessità, perchè non era basso il costo. Ricordo il prefisso 0336 e il numero aveva 6 cifre. Sto cercando di ricordarlo … Appena smetto di pensarci mi tornerà in mente … Era anche un numero facile .. 😦 …

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