In gelateria

Prima di proseguire nella lettura del seguente racconto, fate riferimento all’articolo Racconto scemo per comprendere l’assegnazione dei ruoli.
Per evitare conseguenze legali garantisco che nessun/na blogger è stato/a maltrattato/a durante la realizzazione di questo racconto. In compenso non è assicurata la mia incolumità.

Mrs. Pumpkin stava passeggiando allegramente col proprio cane. Le vie del paese erano deserte a causa della canicola. A parte quelle due presenze apparentemente immuni al caldo e PippoCalippo (intento a esplorare le proprie narici), non c’era anima viva a tenere loro compagnia.
A un tratto, uscendo da una gelateria, Dorothy mise il piede in fallo e rovesciò il cono gelato in testa al cane, il quale sembrò gradire molto l’inaspettato regalo e lo pappò senza tanti complimenti.
Dorothy si scusò con Mrs. Pumpkin per l’incidente. Mrs. Pumpkin si scusò a sua volta per il gelato e si offrì di comprarne un altro. Dorothy accettò educatamente la gentile proposta.
Entrarono in gelateria insieme al cane. Miss Elizabeth, la gelataia, si stupì di vedere così presto Dorothy. Dalla distrazione si dimenticò di chiudere la cella frigorifera. Borbottò: “Ohibò! Non pensavo che i miei gelati fossero così buoni! L’ha letteralmente divorato!”.
Dorothy e Mrs. Pumpkin si scambiarono sorridenti un’occhiata complice e assecondarono il vantarsi di Miss Elizabeth. “Un gelato per Dorothy, uno per me e uno per il mio cane”, ordinò Mrs. Pumpkin. “Quale cane?”, domandò Miss Elizabeth slinguazzando un ghiacciolo al gusto di radicchio. Il cane si era effettivamente volatilizzato.
“Oh, quel birbone mi scappa sempre”, sbuffò Mrs. Pumpkin. “Ti aiuto a cercarlo”, propose Dorothy. “E i gelati?”, chiese una rammaricata Miss Elizabeth. “Attenderanno. Le pare che potremmo gustarci un gelato in queste condizioni?”, siglarono in coro Mrs. Pumpkin e Dorothy.
I tre protagonisti della vicenda si misero all’affannosa ricerca del cane all’interno del negozio. Nello stesso istante entrarono Miss Ludmilla e Mister X. “Un gelato! Presto! Sto morendo di caldo!”, esclamò Miss Ludmilla sventagliandosi in faccia con una rivista. “Assolutamente no! Ci sono prima io! Un gelato! Presto! Sto morendo di caldo!”, tuonò Mister X sventagliandosi in faccia con una rivista.
Miss Elizabeth cercò di riappacificare la stramba coppia spiegando che non aveva tempo per preparare i gelati. Miss Ludmilla e Mister X si guardarono in cagnesco, ma capirono che avrebbero dovuto collaborare per ricevere quanto prima il sospirato gelato.
“Lo troverò prima io! Poi ordinerò il gelato!”. “Assolutamente no! Lo troverò prima io! Poi ordinerò il gelato!”. Miss Ludmilla e Mister X battibeccarono per qualche minuto, in seguito si unirono alla congrega di sciroppati per mettersi alla ricerca del dispettoso cane.
PippoCalippo entrò nella gelateria in quel preciso istante, rimanendo a bocca aperta. Miss Elizabeth gli raccontò la vicenda e propose a PippoCalippo di aiutarli nella ricerca, altrimenti si sarebbe dovuto accodare per ordinare il gelato.
“Veramente non volevo ordinare alcun gelato”, disse pacatamente PippoCalippo. “Ohibò! Ma questa è una gelateria! Non vorrà mica ordinare delle tende da doccia!”, ringhiò Miss Elizabeth.
Mrs. Pumpkin e Dorothy si guardarono come a dire che l’idea non era niente male: “In effetti potrei proprio avere bisogno di una nuova tenda da doccia”. “E io pure, perché a pensarci bene quella che ho è vecchia”.
Non potendo essere da meno, si inserirono nel discorso anche Miss Ludmilla e Mister X: “Una tenda da doccia anche per me!”. “Assolutamente no! Una tenda da doccia anche per me!”.
PippoCalippo, che non venne mai chiarito per quale inspiegabile motivo fosse entrato in una gelateria senza avere voglia di un gelato, se ne andò pulendosi le dita su una parete della gelateria. Vai a capirlo.
All’interno del negozio le cinque figure si accapigliarono per capire chi avrebbe avuto diritto prioritario per l’acquisto di una tenda da doccia. Ché non si poteva tornare a casa da una gelateria senza una tenda da doccia. Assolutamente no.
E il cane? Oh, quello si stava pappando bello beato una scorta illimitata di gelati all’interno della cella frigorifera lasciata incautamente aperta da Miss Elizabeth.
Chi avrebbe pagato i gelati? Nessuno, perché si narra che, causa eccessivo caldo, anche i personaggi coinvolti nella vicenda si fossero squagliati senza lasciare alcuna traccia.

© Vittorio Tatti

Fatale (parte 8 di 9+1)

Questo racconto è molto liberamente tratto dalla mia recente esperienza con la Musa; molto liberamente significa che è inventato al 90% e che rappresenta unicamente il mio punto di vista. Qualche paragrafo conterrà materiale VM18.

Parte 1 di 9+1
Parte 2 di 9+1
Parte 3 di 9+1
Parte 4 di 9+1
Parte 5 di 9+1
Parte 6 di 9+1
Parte 7 di 9+1

8

Penso sia inutile soffermarsi sui dettagli della tua dimora. Pavimenti, soffitti, pareti, finestre, mobili… Ben più interessante fu quello che successe dopo esserci tolti tutti i vestiti.
Ammetto che vedere i tuoi jeans gocciolare al centro contribuì a inebriarmi non poco. Sì, confesso anche che indirizzai la mia prima occhiata tra le tue cosce… Ma scommetto che tu facesti lo stesso… Del resto la tua mano me lo stava già sapientemente stimolando…
Ci adagiammo delicatamente sul letto e mi misi sopra di te. Le mie labbra non potevano fare a meno di assaporare le tue, ma ero intenzionato a stimolare anche altre parti del tuo sinuoso, caldo e vellutato corpo.
Ti baciai dietro l’orecchio, solleticando la pelle con la punta della lingua. Ti scappò un gemito di piacere quando leccai il lobo. Avvicinai le labbra al collo, tergiversando prima di sfiorarlo e pizzicandolo dolcemente con i denti.
Sentii le unghie delle tue mani premere sulla mia schiena per farmi capire che mi volevi. Il mio petto e il tuo seno, ormai a stretto contatto, permisero ai tuoi capezzoli turgidi di sfregarsi contro i miei virili peli.
La tua mano afferrò saldamente il mio pene eretto e lo guidò all’ingresso dell’antro del piacere, del bocciolo più profumato e nettarino del Giardino dell’Eden, della tua giovane e ancora immacolata vagina.

Avevamo già stabilito di comune accordo che non sarebbe stato indispensabile utilizzare il preservativo, in quanto il richiamo della biologia femminile ti aveva costretta a prendere la pillola anticoncezionale per un certo arco di tempo.
Posasti le tue mani sui miei glutei per dettare il ritmo della penetrazione. Sentivo sulla pelle l’umido calore che emanavi e tu avvertivi il mio entrarti sempre più in profondità.
La ripetitiva danza era composta da due soli passi: avanti e indietro. Il pene, ormai lubrificato a dovere dal liquido vaginale, scivolava senza alcun attrito. E, in tutto quel tempo, i nostri occhi non avevano mai smesso di perdersi di vista. Stavamo facendo l’amore non solo con i corpi, ma anche con le anime.
Solo al culmine dell’eccitazione le palpebre si arresero e i respiri si fecero incostanti. L’unione carnale era stata suggellata da uno scambio incandescente di fluidi rivitalizzanti e balsamici.
Sul pianeta Terra c’eravamo solo noi: Rebecca e Valerio. Reberio.
Per quanto ne sapevamo il mondo stava continuando a esistere ignorandoci beatamente, o forse l’universo era già avviato verso l’implosione. Ma il nostro amore era ormai divenuto leggenda, immortale, epico, impresso in ogni particella e piega spaziotemporale del multiverso.

La mattina dopo ci svegliammo con te tra le mie braccia, mentre ti stavo abbracciando da dietro. Le nostre parti intime, a distanza ravvicinata, parevano suggerirci l’intenzione di ripetere l’estasiante esperienza della prima volta.
Purtroppo il tuo cellulare squillò e fosti costretta a rispondere. Niente di allarmante: i tuoi genitori ci avevano invitati a pranzo. Se avessero atteso almeno un quarto d’ora per comunicartelo sarebbe stato senz’altro gradito. Mandarti un messaggio al quale rispondere con calma no?
Presto avrei conosciuto la tua famiglia, ma solo dopo essermi diplomato a un corso intensivo di sopravvivenza in caso di cataclismi naturali. Mamma Tsunami e Papà Uragano avrebbero trovato pane per i loro denti.
Ancora non potevamo saperlo ma, quando sarebbe arrivato il tuo turno di conoscere i miei genitori, saresti stata accolta per cena con tutti gli onori riservati a una principessa. Tu, che eri riuscita nell’arduo compito di convincere il loro asociale figlio ad accorgersi del mondo esterno oltre a quello virtuale, avresti meritato ben altro. Senza sapere che tu eri pure più asociale di me.
Nella riservatezza della camera da letto di casa mia, al termine della cena dai miei genitori, in risposta a quella considerazione avrei sussurrato al tuo orecchio: “Potere dell’amore”. E tu: “Dell’amore, certo… Allora perché sento qualcosa premere contro la mia coscia?”. “Cosa vuoi che ti dica… non hai reso felice solo me”. “Sai chi altra è felice?”. “Chi?”. “Vediamo se riesci a scoprirlo…”.

[continua]

© Vittorio Tatti