In medio stat virtus, ma non in questo caso

La scuola media nella quale andavo si chiamava Alessandro Volta. Era leggermente più lontana di quella elementare, ma situata nel medesimo quartiere. Disponeva di un solo ingresso che consisteva in una lunga e ripida salita.
Essendo stato bocciato in seconda fui costretto a ripetere un anno, quindi descriverò gli eventi in due fasi: prima e seconda sezione, seconda e terza sezione. Prima di parlare della scuola, però, mi concederò una digressione per presentarvi una panoramica generale su quel periodo (che include anche gli anni delle elementari).

Gli Anni ’80 facevano parte della decade cosiddetta mitica, anche se, obiettivamente, non credo proprio fosse tanto migliore di quella attuale. Ero ancora giovane e relativamente spensierato, quindi la soggettività aveva contribuito a far apparire tutto più bello di quanto fosse in realtà.
I computer (Commodore 64, MSX, Sinclair ZX Spectrum, Apple Macintosh, Atari ST) e le console (Nintendo Entertainment System, SEGA Master System, Atari 7800) erano già nelle nostre case da tempo, anche se ancora non avevano catturato tutta la nostra attenzione.
Ci beccammo gli esordi di pietre miliari della storia del cinema: Ritorno al futuro, Wargames, Terminator, Rambo, L’attimo fuggente, Ghostbusters, La mosca, Nightmare, La Storia infinita, Robocop e così via.
In contemporanea si svolsero due Mondiali di calcio: nel 1982 vinti dall’Italia di Paolo Rossi, nel 1986 vinti dall’Argentina di Maradona.
Non ci facemmo mancare nemmeno un simpaticissimo disastro nucleare in quel di Chernobyl. Tanto per evidenziarne la tragicità: il nocciolo continuerà a emettere radiazioni anche quando noi umani saremo già estinti da tempo.
Prima di quel momento, chi sapeva dove fosse l’Ucraina? Forse qualcuno non lo sa nemmeno ora, altrimenti i carri armati russi non avrebbero sbagliato strada per rientrare alla base. Sono sarcastico, eh…
Eh sì, sono stati veramente mitici quegli anni.
Fine della digressione.

Noi adolescenti eravamo giovani, educati, gentili e innocenti. O forse no, non lo eravamo. Cioè… sì, eravamo giovani, ma innocenti proprio per niente. Capirete, capirete…
Primo anno di scuola media, primi problemi (ma quando mai non ci sono stati?): bisognava studiare “sul serio”, non come alle elementari. Certo, come no.
In classe ritrovai alcuni compagni delle elementari, ma la maggior parte erano nuovi. All’inizio mi apparvero quasi come alieni da studiare in laboratorio, sebbene fossimo tutti coetanei. In realtà alcuni sembravano quasi diciottenni, quindi da lì il mio scetticismo sulla possibilità di adattarmi in mezzo a quella fauna.
M’innamorai quasi subito di una compagna di classe. Lei se ne accorse ancora prima di me e, da quel momento, iniziò ad approfittarne in maniera ignobile e spregiudicata (ma decisamente piacevole): in cambio di bacini&bacetti a distanza le cedevo parte della merenda (patatine o focaccia più succo di frutta) da mangiare durante la ricreazione. Io ero un debole, ma lei era inconfutabilmente una zoccola.
Sì, a 11 anni si atteggiava già come una troia da competizione: viso carino al naturale ma sempre truccata in maniera pesante, abiti casti ma che risaltavano le forme, tette in fase di sviluppo, culo sodo, voce flebile, vocabolario tutt’altro che forbito. Davanti ai prof, ovviamente, faceva la santarellina.

Qua si rende necessaria una premessa personale per contestualizzare e comprendere meglio il mio punto di vista.
All’inizio delle medie non ero esattamente “vergine”: diciamo che non avevo fatto proprio tutto, ma qualcosa avevo comunque già fatto, quindi ero già al corrente di cosa si nascondesse dietro certi atteggiamenti lascivi e, soprattutto, cosa avrebbe comportato il livello successivo.
L’aspirante mignotta si atteggiava così con me e col mio compagno di banco, mentre con quello che le piaceva davvero era molto più timida e distaccata. Giusto il tempo di conoscersi meglio che, dopo aver notato l’efficacia della strategia persuasiva, le si affiancò un’altra ragazzina: bacini&bacetti anche dalla complice, metà rimanente della merenda a quell’altra. Caratterialmente troia anch’ella, meno bella esteticamente ma fisico molto più sviluppato: sembrava già una sedicenne.
Gli ormoni non erano a mille, ma a centomila, quindi penso di avere qualche scusante. Nella mia mente gli amori infantili delle elementari erano ormai stati rimpiazzati e rimossi definitivamente da quelle due ancelle.
In realtà, per dovere di completezza, ne dovrei citare anche una terza che non faceva parte delle conoscenze scolastiche, ma di quelle della via dove abitavo e con le quali giocavo a pallone e andavo al catechismo (altro obbligo insopportabile).
Quest’ultima, tuttavia, aveva l’innata capacità di non considerarmi minimamente (nemmeno per scherzo), proprio come se non fossi mai stato fisicamente presente.

In classe con noi c’era anche il classico bullo che, per via della morte del padre, credeva di avere il diritto di comportarsi male con tutti. Per questo ringraziamo anche la complicità del comparto docenti che cercava di “comprenderlo” anziché spedirlo a Guantanamo.
Quel ragazzino disturbava continuamente durante la lezione, marinava per intere settimane, entrava in classe e se ne andava quando voleva, rubava e via dicendo; era pure molto manesco, sia con noi che con i prof. Da quel teppistello subii qualche schiaffone e un calcione.
Personalmente non sono mai stato attaccabrighe, ma quando mi giravano male mi veniva lo schizzo e reagivo. Avete presente i film con Bud Spencer e Terence Hill? Una volta ci scambiammo una serie consecutiva di schiaffi – e parlo di ceffoni ben assestati – come Bud e Terence; alla fine fui io a cedere perché, se fosse stato per lui, non avremmo finito più (e poi, detto tra noi, la guancia aveva iniziato pure a farmi discretamente male).
Il mio calcione, sfortunatamente, venne intercettato dallo stinco di un altro compagno (il solito rompicoglioni pacifista diplomatico sempre pronto a essere amico di tutti) intento a dividerci, altrimenti l’avrei castrato. Con la conseguenza di aizzarlo ancora di più contro di me, posso ipotizzare.
Noi volevamo solo starcene in pace, e invece ‘sto demente doveva a tutti i costi infastidirci perché si annoiava e perché tutto gli era concesso.
Non-violenza gandhiana? Ma fatemi il piacere. Per me poteva pure morire tra atroci sofferenze.

Altri compagni di classe vivevano difficili situazioni familiari, ma nessuno di loro si azzardava a mancare di rispetto agli altri.
Ogni volta che i prof preferivano non mettere il guinzaglio al teppista (praticamente sempre), lui iniziava a girare per la classe indisturbato, intento a escogitare nuovi modi per rompere le palle a noialtri. Peccato che fosse molesto anche in altre circostanze, soprattutto quando poteva dare sfogo ai propri istinti primitivi.
Lombroso l’avrebbe etichettato come un esemplare ancora in vita di neanderthal, perché aveva fattezze scimmiesche. Mi scusino le scimmie per l’ignobile paragone.
Educazione fisica (ginnastica) si svolgeva sempre in compagnia di un’altra classe, forse perché non c’erano abbastanza professori o forse per non perdere troppo tempo.
Quella classe era composta da ragazzini che sembravano trentenni anche nell’aspetto; erano dei veri delinquenti, e ovviamente a chi toccò sopportarli durante le due ore settimanali di ginnastica? Indovinato: al sottoscritto.
Quelle ora diventavano drammatiche nel vero senso della parola, anche perché il prof veniva brutalmente picchiato ogni volta. Era mia convinzione che, prima o poi, ci sarebbe scappato anche il morto.
Il “nostro” teppista, in presenza dell’altra classe e semmai ce ne fosse stato bisogno, tirava fuori il peggio di sé: fumava, si bucava con la siringa, appoggiava quella specie di pene sul banco e si masturbava, bestemmiava, danneggiava l’aula e, come accennato prima, picchiava il prof tirandogli addosso sedie e prendendolo a pugni e calci.
Chi era più tranquillo doveva necessariamente ridere e mostrare entusiasmo per tali “prodezze”, altrimenti sarebbe stato preso di mira a sua volta.

Tra i miei compagni c’erano alcuni ragazzini con una personalità già solida e dominante e, pur non essendo nemmeno mai stati sfiorati dal teppista (altrimenti l’avrebbero sbriciolato), neanche loro osavano proferire parola in presenza degli idioti dell’altra classe.
Comunque la storia non finiva di certo lì. All’uscita da scuola vedevamo spesso il prof ricevere calci e pugni da quei criminali in erba. A volte lo seguivano anche sull’autobus, evidentemente non soddisfatti delle già fin troppo affettuose attenzioni riservate nei suoi confronti.
La politica della scuola fu quella di promuoverli a prescindere, in modo da levarseli di torno il prima possibile. Per me potevano e dovevano finire in galera senza attenuanti e senza alcun tentativo di recuperarli: andavano repressi con la forza e lasciati marcire in gabbia.
Torniamo alla parte didattica della scuola.

Sintetizzo: primo anno superato, ma con difficoltà; secondo anno non superato, pur lo stesso con qualche difficoltà.
Causa scarsissimo impegno, problemi di salute e contrattempi vari, decisero di bocciarmi. Il teppista, come da pronostico, venne promosso e tanti saluti. Meglio così, almeno a scuola mi levai di torno un problema non di poco conto (anche se quel demente continuava a imperversare nel quartiere).
Dovetti dire addio alle due compagne che mi piacevano, ma anche lì poco male perché, nel corso dei mesi, si stancarono di bacini&bacetti corruttori dati a caso e si accoppiarono con i rispettivi fidanzatini.
Iniziai il nuovo anno scolastico con tutti gli occhi puntati addosso: in quanto ripetente (insieme a un altro) venivo osservato come un animale raro. Non nego che approfittai un po’ di quella situazione: facevo l’altezzoso e, pur non raggiungendo i livelli del teppista, anche il prepotente.
Comunque quell’atteggiamento di finta superiorità non durò molto, perché la mia attenzione venne catturata dalle nuove presenze femminili e mi diedi ben presto una regolata. Inoltre, essendo ripetente, non potevo permettermi una nuova bocciatura, che evitai “a modo mio”.
Oltre ai compagni cambiarono anche alcuni prof. La mia mascella cadde rovinosamente al suolo quando vidi per la prima volta la nuova prof d’educazione fisica: una donna con un corpo da favola e una minigonna nera che lasciava ben poco all’immaginazione. Pareva una pornostar.
Quando la lezione si teneva in piscina anziché in palestra, poi, andavo in brodo di giuggiole, perché vedevo non solo la prof in costume da bagno, ma anche le mie compagne (ancora solo dodicenni, ma cavolo se erano attraenti…).

In quel periodo studiavo solo lo stretto indispensabile (a volte lo sguardo era fermo sui libri, ma la testa completamente altrove), preferendo dedicare parte del mio tempo al C64, ai cartoni animati e al calcio giocato in strada.
Ricordo molto bene il fastidio che davamo ai negozianti, i quali avevano paura che qualche pallonata mandasse in frantumi le vetrine; qualche volta si litigava anche in maniera pesante.
Come ogni altro mio coetaneo maschio, anche io collezionavo le figurine Panini. Giocavamo spesso a scambiare i doppioni oppure a vincere interi mazzi dell’avversario utilizzando come valore di riferimento il numero della figurina. Era prassi comune attaccare quelle più importanti nelle pagine del diario scolastico, affiancandole alle spettacolari e grottesche Sgorbions.
Un giorno incollai storta una figurina. Dal momento che non mi andava di lasciarla in quello stato, cercai di staccarla senza bucare la pagina del diario. Con mio sommo stupore mi accorsi che veniva via più facilmente del previsto. Non sapevo se fosse merito della colla poco adesiva o della carta ruvida del diario, ma quella particolarità mi sarebbe tornata molto utile.
Ricordate quando ho accennato che avrei evitato la bocciatura “a modo mio”?
Studiare non mi piaceva, nel modo più assoluto. Niente di nuovo.
Quando ero a casa trascorrevo ore e ore sui libri ma, in realtà, fantasticavo su cose che non avevano nulla a che fare con la scuola. Era più il tempo dedicato a inventare qualche stratagemma per non studiare che allo studio vero e proprio.
Un giorno la prof mi beccò senza compiti, così scrisse una nota sul diario da far firmare ai miei genitori. Mi scervellai per trovare una scusa convincente per quella nota, ma non ne ebbi bisogno.

Durante la ricreazione feci un esperimento sul diario: scrissi una piccola parte del testo di una canzone in una delle pagine del periodo estivo (che non mi sarebbero servite), poi attaccai le figurine sopra, chiusi il diario e lo lasciai così per un’ora.
Al termine della lezione, in attesa dell’arrivo della prof, esaminai la pagina: le figurine si staccavano senza sbavare l’inchiostro e senza bucare la carta; si poteva fare.
Presi delle figurine nuove e le incollai sulla nota, mentre nello spazio restante della pagina scrissi i compiti assegnati. Tornai a casa fingendo di avere la coscienza pulita.
Rimaneva da sistemare solo una cosa: la firma.
Con quella me la cavai senza alcun inconveniente: tolsi le figurine dalla nota, appoggiai una giustificazione firmata in precedenza dai miei genitori e calcai le firme con una penna esaurita. In seguito abbozzai la traccia invisibile con una matita, la ricalcai con la penna nera, cancellai le sbavature della matita e ricoprii tutto con le stesse figurine.
Il giorno dopo mostrai la nota firmata alla prof e la questione si chiuse lì. Avevo rischiato grosso ma, per evitare una sicura punizione, ne valse sicuramente la pena.
Quel sistema mi diede fin troppa fiducia nella possibilità di farla sempre franca.
Applicai quel metodo almeno ad altre cinque o sei note, ma all’orizzonte si profilò un pericolo che mi avrebbe fatto sudare freddo: convocazione dei genitori con rischio di sospensione.
Il pericolo non risiedeva solo nella convocazione in sé, ma anche nella tutt’altro che remota possibilità di smascherare tutte le precedenti note nascoste sotto le figurine.
Come si dice in questi casi? Ah sì: ero fottuto.

Mi avrebbero sicuramente sgamato se non si fosse verificata una provvidenziale botta di culo. Scusate il francesismo, ma quando ci vuole ci vuole. Non rammento tutti i dettagli della vicenda e non voglio ricamarci sopra, quindi scriverò quello che ricordo.
In qualche modo riuscii a convincere un ragazzo più grande (forse il cugino o il fratello di un mio compagno di classe, ma non non ci metterei la mano nel fuoco) a scrivere una giustificazione spacciandosi per i miei genitori, i quali si scusavano per l’impossibilità di potersi presentare alla convocazione per motivi di lavoro (mio padre) e di salute (mia madre). La firmai e la nascosi temporaneamente sotto le figurine, pronto a mostrarla alla prof due giorni dopo (data dei colloqui tra insegnanti e genitori).
Ero ormai già rassegnato ad assistere alla mia condanna a morte. Pensavo continuamente: “La prof scriverà una nuova convocazione e mi beccheranno”. Ripetete con me: “La prof scriverà una nuova convocazione e mi beccheranno”.
Di nuovo: “La prof scriverà una nuova convocazione e mi beccheranno”.
“La prof scriverà una nuova convocazione e mi beccheranno”.
Quel pensiero mi stava ossessionando. Il mio inganno non poteva funzionare. Ero destinato a fallire miseramente: avrei pagato un conto salato per la mia avventatezza e scontato la giusta punizione per la mia irresponsabilità.
Invece… La fortuna aiuta gli audaci e, a quanto pare, anche gli imbroglioni.
Quella poveretta della prof (non l’ho detto prima, ma era già abbastanza anziana e carente di vista) abboccò senza dubitare minimamente di quella giustificazione. A dire il vero ebbi addirittura la sensazione che si fosse sentita pure un po’ a disagio per aver arrecato disturbo ai miei genitori con quella convocazione.
Livello di senso di colpa: zero. Pentimento? Non fatemi ridere.
Inutile nasconderlo: quell’anno arrivai alla promozione sicuramente non per meriti scolastici. Forse avrei fatto meglio a coltivare il mio talento nascosto di falsario.
Ma sono ancora in tempo…

Giunse finalmente il terzo anno, l’ultimo delle medie. Promisi a me stesso che avrei studiato di più (di più, non tanto), anche perché difficilmente mi sarebbe stato concesso di barare all’esame finale.
Complice un trasloco, in classe giunse un nuovo compagno che, in seguito, sarebbe diventato il mio migliore amico, almeno fino al distacco dovuto al passaggio alle superiori. Complice la natura, invece, le compagne diventarono delle vere e proprie delizie sessuali, soprattutto tre di loro.
I nostri ormoni erano ormai ben oltre qualsiasi possibilità di contenimento, tanto che iniziammo a provarci senza pudore, prima solo con battute sconce, poi con azioni sempre più avventate e temerarie.
Ci concentrammo su quella che aveva dimostrato di apprezzare le “premure” maschili e che sembrava volersela tirare. Per preservarne l’identità la chiamerò Miss tette d’oro.
Pur essendo ancora solo una tredicenne aveva due tette da paura, un culo da favola e una… Mettiamola così: i jeans erano così stretti che non solo risaltava la linea posteriore, ma anche quella anteriore. Chi ha capito ha capito.
Ricordo bene che, durante l’intervallo, aveva l’abitudine di sedersi a novanta gradi, in modo da essere “presa” da dietro. Non posso dire con certezza quanta sincera malizia ci fosse dietro tale atteggiamento, anche perché nessuno di noi si faceva tanti scrupoli morali.
A volte ci permetteva di accarezzarla solo con la mano, altre volte accettava le spinte con le parti basse. Era davvero estasiante affondare in quella soffice materia organica.
Chiaramente non poteva mancare assolutamente la palpata al seno, altrimenti si sarebbe potuta offendere.
Tra Miss tette d’oro e altre compagne di classe e di scuola (ripetenti) riuscii a “colmare i buchi” (ehm…) che ancora mancavano alla mia esperienza sessuale.

Arrivai al punto di prendermi eccessive libertà, dando per scontata – e addirittura doverosa – la loro disponibilità. Invece, dopo tante insistenti attenzioni (da parte di tutti), il negozio chiuse i battenti perché sembrava consapevole di essersi fatta una pessima nomea. Ricevette solidarietà femminile solo da un’altra compagna (chiamiamola Miss tette d’argento), perché le altre l’avevano presa in totale antipatia a causa delle attenzioni che riceveva da maschi.
Per un po’ la lasciammo quietare e, quando la situazione tornò normale, abbandonammo ogni velleità d’appagamento fisico. Nel frattempo io e il mio amico avevamo iniziato a prendere di mira una di quelle invidiose di Miss tette d’oro.
Con il cervello completamente inebetito e impossibilitato a ragionare in maniera lucida e razionale (non azzardo a dire matura), un giorno mi avvicinai a lei per palparle le tette, assolutamente convinto che me l’avrebbe permesso senza fiatare.
Della serie: “Io sì che sono un figo da paura”.
Mi mollò uno schiaffo così forte da far sembrare quelli del teppista delle amorevoli carezze; il mio occhio iniziò pure a lacrimare, tanta fu la forza impressa a quella manata. Imbarazzata e rossa dalla vergogna si scusò come se fosse stata lei la vera colpevole.
Imparai la lezione: dopo il colpo ricevuto le restai per sempre a distanza di sicurezza.

Prima che vada avanti concedetemi una piccola riflessione.
Giudichiamo negativamente la generazione attuale, propinando al vento i soliti retorici discorsi del tipo che noi non eravamo così, che avevamo dei valori, etc.
Beh, è un’immonda cazzata.
Non è vero che non eravamo come i giovani d’oggi: anche noi eravamo così e, a volte, anche peggio, solo che non potevano collegarci a Internet per sbandierarlo al mondo intero. I panni sporchi rimanevano in famiglia o nel quartiere nel quale si abitava.
Oggi ci sono teppisti, ai miei tempi c’erano teppisti e sicuramente c’erano teppisti pure secoli fa. Forse si potrebbe obiettare sulla libertà sessuale concessa di generazione in generazione, ma non ci giurerei.
Se avessi avuto lo smartphone non so cosa avrei combinato. Quasi certamente mi sarei cacciato in qualche guaio, anche perché non mi sarei posto vincoli morali né nei confronti della prof di educazione fisica né delle mie compagne di scuola.
Anche adesso si giudica negativamente un approccio intimo consensuale tra un/una quattordicenne e una/un prof. Sarò io ad avere una morale distorta, ma personalmente non ci vedo niente di così anormale fin quando si tratta di puro sfogo sessuale e non di una relazione sentimentale a lungo termine (per il sesso bastano gli ormoni ed è una pura questione biologia, ma per l’amore ci vogliono almeno maturità, esperienza, condivisione e obiettivi comuni).

Se all’epoca ci avessi provato con la mia prof di educazione fisica cosa sarebbe successo? L’avrebbe riferito ai miei genitori o avrebbe assecondato le mie pulsioni? Oppure sarebbe finita in croce perché avrebbero considerato inammissibile che un quattordicenne potesse trovare attraente una MILF e avrebbero dato per scontato la molestia da parte sua?
Voi vedetela come volete, ma a me sembra che un po’ tutta la società sia ancora troppo bacchettona e ipocrita. In un mondo dove i figli si concepiscono in laboratorio per soddisfare l’ego delle coppie gay e si cambia sesso a seconda del proprio umore, mi sembra ridicolo che si pongano ancora veti morali sulla nostra natura riproduttiva e libertà sessuale.
Se avete voglia di dire la vostra su questo argomento esprimetevi pure liberamente, intanto è solo per discutere.

Il terzo anno trascorse, tutto sommato, in maniera spensierata anche da un punto di vista didattico.
La mia tecnica delle figurine aveva ormai raggiunto livelli da decimo dan, tanto che qualcuno arrivò anche a copiarmi. Avevo dato vita a una nuova forma d’arte che purtroppo non ha fruttato quanto avrebbe dovuto.
Non sempre mi sono comportato bene, ma spesso mi sono comportato meglio di tanti altri. Diciamo che sono stato nella media, proprio io che non sopporto le vie di mezzo.
Sono stati quattro anni all’insegna dell’impazienza di crescere, di poter disporre di maggiore libertà, di sperare che i momenti brutti non tornassero più e che quelli belli non finissero mai.
Della scuola media ricordo anche un’altra cosa. Ogni anno scolastico veniva selezionato un libro di narrativa da leggere nel corso dei mesi e svolgere compiti per casa legati all’analisi dei vari capitoli. Non sono sicuro se capitò in seconda o in terza, ma quell’anno venne scelto per la lettura “I ragazzi della via Pal”.
Viste le già troppe materie da studiare non comunicai mai ai miei genitori la necessità di acquistare tale libro, così ne feci a meno per tutta la durata dell’anno scolastico.
Andai avanti a forza di superficiali copiature dagli altri compagni di classe, alcune delle quali mi procurarono un paio di quelle famose note divenute medaglie al valore.
In pratica avevo messo in preventivo la possibilità di compensare il brutto voto e la nota con la solita firma falsa. Al cambio credevo di averci guadagnato, soprattutto in termini di tempo.
Ma credo che adesso, non avendo più alcun obbligo di leggere per studiare (i libri che leggo in biblioteca e che poi consiglio non contano), potrei finalmente compensare quella lacuna.

Vittorio Tatti