Medioevo informatico

Come già raccontato in molti altri articoli, diventai internauta a cavallo tra il 1999 e il 2000.
Perché lo considero un periodo storico molto importante? Perché non solo ci fu un passaggio di secolo, ma anche di millennio. L’ultima volta che la nostra civiltà attraversò una fase simile (999-1000), si trovava nel Basso Medioevo.
A meno di straordinari progressi medici, scientifici e tecnologici, non assisteremo (per fortuna, mi viene da dire) al successivo cambio di secolo e millennio (2999-3000).

Immaginiamo di tornare indietro nel tempo, per vedere come si navigava su Internet quando gli smartphone erano solo concetti, nemmeno progetti.
Il mio computer dell’epoca aveva la seguente configurazione: Windows 98 SE, CPU AMD Athlon 650 MHz, 192 MB RAM, HD 40 GB, 3dfx Voodoo 3, modem 56 kbit/sec. Era un computer molto meno performante di un qualsiasi attuale smartphone di fascia molto bassa, ma potente all’epoca.
Sorvoliamo sulla questione tecnica e andiamo a vedere come e dove navighereste su Internet se poteste osservare il monitor di quel computer con i vostri occhi.

01) Internet Explorer

La Microsoft di Bill Gates era una vera e propria monopolista, quindi c’erano ancora poche alternative al browser che si trovava preinstallato nei computer. I siti erano compilati in linguaggio HTML ed erano discretamente leggeri, per tenere il passo delle connessioni mediamente lente di quel periodo.
Era il periodo dei pop-up porno che comparivano dal nulla e che non riuscivi mai a chiudere, delle GIF psichedeliche che appesantivano la navigazione e dei trojan che infettavano i computer dei novellini.

02) Outlook Express

Anch’esso già installato nei computer, anch’esso di proprietà Microsoft.
Il programma di posta elettronica serviva per ricevere e inviare e-mail e accedere ai newsgroup.

03) Virgilio

Prima di Google e dopo aver guidato Dante ne La Divina Commedia, Virgilio divenne un punto di riferimento degli internauti italiani: motore di ricerca, notizie, comunità virtuale, chat, e-mail e spazio web per creare un proprio sito.

04) AltaVista

Altro motore di ricerca.

05) Excite

Altro motore di ricerca.

06) Lycos

Altro motore di ricerca.

07) HTML-Kit

Nel 2000 avevo già sentito parlare dei blog, ma non m’ispiravano perché tutti dicevano che erano solo dei diari per mettersi in mostra. Un giorno acquistai un manuale di HTML, registrai un dominio gratuito su virgilio.it e scrissi personalmente il codice del mio primo sito. Grazie a quel programma potevo vedere in tempo reale come sarebbe apparso il sito ogni volta che scrivevo e modificavo le righe di codice.
Non ricordo il nome di quel sito.

08) FileZilla

Dopo aver creato un sito dovevi trasferirlo in un server via FTP (File Transfer Protocol), in modo che tutti potessero vederlo. FileZilla consentiva di caricare le pagine create nel server del portale dov’era stato registrato il dominio.

09) Splinder

Bello creare un sito e dire “L’ho fatto io”. Però, quando ti dovevi sbattere per aggiungere altre righe di codice in modo che i visitatori potessero commentare, ne valeva ancora la pena? Per me no, così nel 2001 mi abbassai al livello dei primi blogger esibizionisti e aprii anche io un blog su Splinder.
Ora sapete chi incolpare.

10) Go!Zilla

Prima di essere raggiunto dall’ADSL navigavo con un modem da 56 kbit/sec. A volte era complicato anche solo scaricare pochi MB di qualche software da provare oppure di demo dei videogiochi che ancora dovevano uscire.
Go!Zilla suddivideva in pacchetti il programma da scaricare, consentendo di riesumare il download in un secondo momento senza dover ricominciare dall’inizio.

11) Manga&co

Uno dei primi portali di manga e anime, divenne per me un vero e proprio punto di riferimento in quanto lì trovai un po’ di tutto: appassionati di manga, amicizie e l’amore.

12) mIRC

Chattare su #mangaeco era bello e divertente, ma lo divenne ancora di più quando imparai a utilizzare mIRC, un client IRC (Internet Relay Chat) che permetteva l’utilizzo di alcuni comandi necessari per moderare un canale giocando a fare l’hacker.
Con esso era possibile chattare in più canali per volta, registrare un nickname e un canale e moderare tramite funzioni non implementate nella chat di un sito.

13) ICQ

Su IRC era possibile chattare non solo in pubblico, ma anche in privato. Nonostante ciò, era molto più comodo avere una lista personale dei propri contatti, in modo da poter comunicare con loro direttamente.
ICQ era un programma di messaggistica istantanea che assegnava a ogni utente un codice numerico chiamato UIN: Unique Identification Number.

14) MSN Messenger

Era anch’esso un programma di messaggistica istantanea, solo che all’utente veniva assegnato un username invece di un numero. Fu quello che utilizzai più di tutti perché lì c’era anche M.
Era possibile interagire anche con una lavagna digitale condivisa, giocare e vedersi attraverso le webcam.

15) C6 Messenger

Altro programma di messaggistica istantanea, ma meno frequentato di quelli già nominati.

16) AIM

Ancora messaggistica istantanea.

17) Yahoo! Messenger

E nuovamente messaggistica istantanea.
Alla fine erano tutti software ridondanti, perché i contatti che avevi in uno li avevi pure nell’altro.

18) Winamp

Uno dei primi lettori per computer di MP3.

19) Napster

Il famoso programma di condivisione di file, fu l’apripista del sistema P2P (peer-to-peer), ossia una rete informatica decentralizzata da qualsiasi server. In poche parole: ogni computer sul quale era installato Napster fungeva da nodo.

20) WinMX

Il successore spirituale di Napster. Se il primo è conosciuto soprattutto per la condivisione di file musicali, su WinMX cominciarono ad apparire altri contenuti quali videogiochi, immagini e film.
Se già buona parte del materiale scambiato era illegale in quanto violava il diritto d’autore, ben presto venne invaso anche dai fruitori di foto e video a sfondo pedopornografico (che, per quanto ne so, già venivano scambiati via BBS anni prima).
Ora vi racconto un aneddoto.

Molti giornalisti ignoranti (ormai è diventato un pleonasmo…) parlano tanto di sexting e sextorsion come se fossero novità degli ultimi anni e, soprattutto, come se fossero solo i giovani d’oggi a scambiare materiale sessualmente esplicito autoprodotto. Niente di più falso.
Una cosa simile – anche se il fenomeno era molto più circoscritto – era già di moda quando non c’erano ancora gli smartphone: bastavano un computer, una webcam e un accesso a Internet per scambiarsi contenuti sessuali amatoriali.
Un giorno un ragazzo fece quella che possiamo definire senza ombra di dubbio una minchiata: riprese se stesso e la propria fidanzata mentre facevano sesso. No, non è questa la minchiata. In seguito, all’insaputa della ragazza, mise online il filmato (non ricordo se per vantarsi o per vendicarsi della fidanzata che l’aveva lasciato). Ecco la minchiata.
Il filmato in questione era noto con il titolo “Forza C***** da Perugia” e la povera C*****, all’epoca, era minorenne. In quel caso non si trattò solo di una grave violazione della riservatezza di una persona (anche se qualcuno disse che lei aveva dato il permesso), ma anche di possesso e distribuzione di materiale pedopornografico.
Se sul possesso si può anche chiudere un occhio finché rimane a uso esclusivo della coppia che ha realizzato il video (lui aveva 18 anni e lei 15: una differenza d’età moralmente accettabile), sul secondo punto bisogna mettere in chiaro un principio fondamentale: quando qualcosa finisce su Internet non lo elimini più.

Sembra che la lezione non sia stata imparata, anzi: ora è diventata un’arma in più per ricattare una persona. E qua non si tratta nemmeno di essere minorenni o maggiorenni, perché la vita di chiunque potrebbe essere rovinata a causa di un gesto sconsiderato (dalla regia mi suggeriscono un nome tra tanti di qualche anno fa: Tiziana Cantone).
Non c’è alcuna colpa nel produrre un porno amatoriale. Non c’è colpa nemmeno nel condividerlo con la persona con la quale è stato realizzato. Aggiungo – ma è una mia opinione personale – che non c’è neanche se, a girare certi video, è una coppia di quindicenni perfettamente consenzienti che vogliono rivedersi in privato.
Il danno non è nel video in sé (se girato volontariamente e con il consenso delle parti), ma nella sua divulgazione indiscriminata nel vasto oceano della Rete. Senso di responsabilità e colpa, però, a volta finiscono ingiustamente per sovrapporsi.
Sapendo che la gente è stronza e che un certo tipo di video potrebbe finire su Internet, dove finisce il senso di responsabilità e dove inizia la colpa? Chiunque dovrebbe poter dire: “Voglio girare un video porno e nessuno, senza il mio permesso, lo deve mettere su Internet”. Penso che questo sia un diritto inalienabile.
Purtroppo non sempre si può fare questo ragionamento – o, al limite, non si può applicare a ogni contesto privato –, perché il mondo è popolato da stronzi.
Chi diffonde certi video senza il consenso del/della protagonista va sicuramente perseguito penalmente (o preso a bastonate, se preferite). Il guaio è che niente può rimediare al danno subito, perché ormai il video è finito chissà dove e nei computer di chissà chi. Non sempre curare è possibile: spesso è necessario prevenire.
Sembra che adesso si stia puntando a una sorta di “censura” di certi contenuti applicando un valore hash. Per semplificare si tratta di assegnare un codice numerico al contenuto sensibile da rimuovere; questa pratica può essere effettuata anche in locale dalla persona direttamente interessata. Ci penserà poi l’algoritmo a scandagliare la Rete alla ricerca del contenuto sensibile da eliminare.
Non mi è chiaro se questo sistema sia valido anche in caso di video e foto alterate o di file crittografati. E dubito che possa intervenire su un dispositivo non connesso alla Rete.

Questa è la dimostrazione che, per accedere a Internet, dovrebbe essere necessaria una patente per gli adulti poco pratici di informatica. Prima ancora di questa, però, tanti genitori dovrebbero almeno evitare di regalare uno smartphone ai propri figli, soprattutto se sono giovani e irresponsabili (e molti lo sono com’è normale esserlo a quell’età).
Non importa se ormai ogni giovane sotto i 18 anni ha uno smartphone: gli dici di no, punto. Devi educare, non assecondare. Non hai assolutamente nessunissima idea di quello che fa tuo figlio o tua figlia con lo smartphone. Ed è inutile che lo controlli, perché ci vuole niente a creare un profilo segreto con un nome inventato.
Non puoi nemmeno discolparti dicendo “Ma questa non può essere mia figlia! Non fa certe cose!”, perché non solo probabilmente fa anche di peggio, ma perché sei stato tu, genitore, a concederle la possibilità di metterla in mostra in internetvisione.
Consideratemi pure bacchettone ma, per come la vedo io, chi è al di sotto di una certa età non dovrebbe andare nemmeno in discoteca.
Senso di responsabilità e colpa: si può ricadere inconsapevolmente nella seconda, e tutto per non aver dato priorità al primo.

Vittorio Tatti

La prima alba

Tralasciando il rifacimento moderno (che non ho mai visto), nella serie originale MacGyver è laureato in fisica, single, vegetariano, ambientalista, solitario, pacifista, astemio e non fuma. Odia le armi, si mostra altruista con chi è in difficoltà e, sopra ogni altra cosa, è un genio quando si tratta di realizzare marchingegni con quello che ha a disposizione, che si tratti di un flacone di candeggina, un fiammifero, uno stuzzicadenti, un tubo in ferro, una graffetta o una lente d’ingrandimento.
Acquistai il mio primo coltellino svizzero proprio dopo aver assistito con piacere a qualche puntata della serie televisiva, nel 1991. Aveva pochi accessori, ma il modello con più funzioni costava una cifra spropositata per la mia disponibilità economica (quasi tutta destinata per acquistare videogiochi piratati, riviste sul Genoa e fumetti e porno).
A conti fatti non mi fu mai realmente utile, tranne in pochi casi.

Non mi ritrovai mai a sventare un attentato terroristico o a libera una gentil donzella dalle grinfie di un sequestratore. Al massimo utilizzavo il cavatappi per stappare le bottiglie in vetro o la lente per provare a dare fuoco a qualche pezzo di carta.
Che io ricordi la lama mi servì solo in un’unica occasione.
Abitavo ancora a Genova, ero iscritto alle superiori e si stava avvicinando il periodo del reclutamento per la leva. Per motivi di studio potei rimandare l’arruolamento presentando specifica domanda presso un ufficio della capitaneria di porto.
Essendo un’area militarizzata si poteva accedere solo dopo la presentazione di un documento di riconoscimento e il modulo di convocazione. Tra un’area e l’altra c’era una porta elettronica a suddividere le varie zone.
Dopo aver svolto la noiosa incombenza burocratica scesi le scale per andarmene e mi accorsi che la porta non era stata sbloccata dal militare in servizio. Invece di tornare indietro mi armai di coltellino svizzero ed estrassi la lama. L’avvicinai allo scrocco della serratura e lo feci rientrare con una semplice pressione della lama. In due secondi netti violai un impenetrabile (?) sistema di sicurezza in un’area militare (tra l’altro sprovvista di metal detector).

Qualche mese dopo, non potendo rimandare l’inevitabile, mi toccò partire alla volta di La Spezia per i tre giorni del C.A.R. (Centro Addestramento Reclute), una visita preliminare obbligatoria prima dell’arruolamento vero e proprio.
Con mio sommo disappunto non solo mi macchiarono le dita per prendere le impronte digitali, ma requisirono pure il coltellino svizzero. Lo potei recuperare solo al termine dei tre giorni di visita, prima di tornare a casa. In quella cassaforte non era stato solo: ne avevo contati almeno un’altra decina. Tutti appassionati di MacGyver? Chi può dirlo.
Durante un’uscita pomeridiana m’imbattei in un negozio che vendeva armi e notai, esposto in vetrina, un coltellino svizzero più grande della tasca dei miei jeans; costava 120000 lire e, per parecchio tempo, rimase tra i miei oggetti del desiderio. Ovviamente non raggiunsi mai quella cifra, anche perché continuavo a spendere soldi in videogiochi o li mettevo da parte per un nuovo computer.

Quello che riuscii ad acquistare, invece, fu un miniregistratore a cassette; il periodo era sempre quello del coltellino svizzero: il 1991.
Oltre a MacGyver mi appassionai anche a I segreti di Twin Peaks. L’agente dell’FBI Dale Cooper lo utilizzava per lasciare note vocali destinate alla segretaria Diane.
Io lo utilizzavo per registrare parecchi aneddoti scolastici o domestici. Praticamente era il mio diario vocale, una sorta di antesignano del blog.
Registravo sigle televisive, spezzoni di film, lezioni scolastiche e osservazioni personali. Utilizzavo anche la funzione di attivazione vocale per immortalare eventuali anomalie notturne (fantasmi, anche se non ci credevo) o spiare durante la ricreazione i compagni di classe (come eventuale arma di ricatto, che non mi è mai servita).
Avevo iniziato una discreta collezione di minicassette (se non erro costavano 5000 lire l’una), tutte imboscate nel retro di un cassetto della mia scrivania. Una di esse conteneva, almeno a livello teorico, la prova di un mio “imbroglio” scolastico.

Un giorno mi finsi malato per non andare a scuola e saltare il compito in classe di matematica. Fortuna volle che, proprio quella mattina, una mia zia venne in visita e, per non disturbarmi mentre ero a letto, mia madre chiacchierò in cucina con lei chiudendo la porta.
Dopo pochi minuti giunse la tanto attesa telefonata che aspettavo: quella della prof di matematica che avrebbe avvisato i miei genitori del compito in classe saltato. Accorsi tempestivamente per abbassare il volume della segreteria telefonica e scambiai la minicassetta con una vuota delle mie (erano della stessa marca).
Servendomi del miniregistratore (molto più pratico da utilizzare rispetto alla segreteria telefonica) cancellai la telefonata della prof. La sovrascrissi parecchie volte registrando il silenzio ambientale, perché temevo che la registrazione si potesse recuperare in qualche modo (teoricamente possibile anche all’epoca, ma decisamente impraticabile senza un’analisi forense).

Nel primo triennio degli anni ’90 in genere indossavo jeans Levi’s, felpa O’Neill con scritta allucinogena in rilievo, orologio Tomahawk (un’imitazione del Winchester), scarpe Diadora e l’immancabile bomber. Bevevo Pepsi Cola e sgranocchiavo Raider (l’antenato del Twix) e Cipster; all’epoca non ero ancora vegano.
Andavo in giro incravattato con almeno un paio di sciarpe del Genoa (raramente messe attorno al collo: le preferivo annodate a un braccio e a una gamba). Tra polsiere e braccialetti (sempre del Genoa) si poteva scrutare un po’ di pelle delle braccia. Avevo anche spille varie per il bomber e una fascia per la fronte (sempre tutto del Genoa).

Ovviamente c’erano anche loro: il coltellino svizzero e il miniregistratore. Fuori casa penso di non aver utilizzato nient’altro più del pallone da calcio, a eccezione di questi due ammennicoli per le mie, ancora frequenti, scorribande tra le vie di Genova.
Poi, dopo aver irrimediabilmente fritto il Commodore 64 a causa di una scommessa* proposta dal mio miglior amico dell’epoca, risparmiai i soldi per un nuovo computer: prima l’Amiga 500+ e, qualche anno dopo, l’Amiga 1200 e l’Amiga CD32.
Terminarono così le mie avventure da novello Angus MacGyver e agente speciale Dale Cooper. Fu la prima vera alba della mia nerditudine.

*dissi che avrei resistito più di un giorno senza dormire; superai abbondantemente i cinque giorni, ma la notte del terzo giorno il Commodore 64 mi abbandonò a causa di un suo utilizzo eccessivo.

Vittorio Tatti