Vaccino contro l’influenzerite

Ho capito già da tempo che non sono e non sarò mai un influencer.
Non che aspiri a diventarlo (anzi…), ma direi che un minimo di riscontro mi piacerebbe riceverlo quando, tanto per dirne una, cerco di vendere una discreta quantità di libri usati per finanziare la pappa da destinare ai mici in stallo e di colonia.
Ho tentato questa strada su Facebook, dove al momento ho il maggior numero di follower. Risultato da quando mi sono iscritto a maggio: zero. Risultato sotto Natale, quando tutti dovrebbero essere più buoni e altruisti: zero.
Posso capire che dare soldi sotto forma di donazione susciti qualche sospetto, ma comprando dei libri rimarrebbe comunque qualcosa di tangibile in mano; si tratta a tutti gli effetti di uno scambio equo per entrambe le parti.
Quasi tutti i miei contatti si dichiarano animalisti, gattofili e, in alcuni casi, vegani. E parliamo di gente con lavori ben retribuiti, in alcuni casi addirittura benestante.
È davvero uno sforzo immane per loro comprare 5 o 10 euro di libri sapendo che contribuirebbero a sfamare mici che non aiutano nemmeno personalmente?
E non ho trovato problemi solo nella vendita dei libri usati o dei miei e-book.

Già da tempo ho in mente di aprire un rifugio privato per gatti; rifugio privato e non associazione perché, nel secondo caso, ci sarebbero troppe teste a gestire il tutto e finiremmo per scontrarci (come ho avuto modo di appurare per altre questioni…).
Da un punto di vista imprenditoriale e burocratico sono un inetto completo, quindi ho tentato di chiedere informazioni a chi ne sapeva più di me. Sempre su Facebook ho presentato, in diverse sedi, un annuncio nel quale chiedevo aiuto per capire come iniziare. L’ho pubblicato dividendolo in due parti: una breve e sintetica e una lunga e dettagliata. La ridotta soglia di attenzione dell’utente medio di Facebook ha spinto praticamente tutti a rispondermi senza considerare nemmeno la parte breve.
In poche parole penso che si siano limitati a vedere la lunghezza dell’annuncio e abbiano risposto cose del tipo “Troppo lungo, non leggerò” o “Chiedi a un’associazione”.

Se avessi voluto aprire un’associazione mi sarei rivolto a una di loro, non vi pare? Ma avendo l’intento di concentrarmi su un rifugio privato – e non conoscendone nessuno – non avrei ottenuto risposte esaustive su come eseguire, presumo, una procedura differente.
La lunghezza dell’annuncio, invece, anticipava domande che, se letto in maniera seria, mi avrebbero sicuramente posto in un secondo momento; diciamo che ho provato a giocare d’anticipo per non perdere troppo tempo dopo.
E così neppure in quel caso ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato. Ma scommetto che, se mi filmassi mentre compio scemenze. non solo avrei un seguito molto maggiore, ma mi darebbero anche retta.
Mi hanno suggerito di cambiare approccio pubblicando più foto e video, ma a me piace scrivere ed è con le parole che voglio esprimermi. E il numero di utenti che mi segue non m’interessa; eppure anche conoscere poche persone competenti e disponibili sembra sia un’utopia.

La settimana prossima (l’articolo risale al 7 gennaio) dovrei svolgere un colloquio telefonico con una casa editrice per la pubblicazione di un romanzo che, neanche a farlo apposta, parla anche di gatti e influencer. Questa casa editrice pubblica nel formato print-on-demand e dovrei poter ricevere qualche consiglio utile sul fronte promozionale; tuttavia è altamente probabile che, essendo la mia una causa persa, non se ne farà niente.
Non riuscendo a vendere un libro scritto da Umberto Eco a 1 euro, come potrei convincere qualcuno a spenderne 10 per uno scritto da me? A meno che l’editore non mi riveli una formula magica, è assolutamente impossibile che ci riesca.
Ho capito che sono io il punto debole che rende fragile la mia limitata rete sociale. Ma la mia unica colpa è non voler essere un personaggio.
Sembra che ormai ci sia competizione in ogni ambito, incluso quello del volontariato.
Chi danneggio se apro anch’io un rifugio per gatti? Tolgo qualcosa a qualcuno? Non possiamo avere tutti il nostro spazio, senza intralciarci? La condivisione di un ideale non dovrebbe spingerci, semmai, a collaborare?
Macché, se chiedo qualcosa, anche un semplice consiglio, tutti snobbano la richiesta; però loro pretendono attenzioni da prima donna, spammano, pubblicano scemenze pur di conservare visibilità. Se commenti non scendono mai dal piedistallo per rispondere. Scrivono pure in maniera sgrammaticata, ma a quanto pare sembra che l’ignoranza costituisca una virtù.
Nella catena alimentare dei social network esisto solo per nutrire una famelica creatura chiamata ego; spero di andare di traverso a qualcuno.

Vittorio Tatti

Visita in biblioteca

Qualche mattina fa, in biblioteca, è venuta in visita una classe della scuola materna; non succedeva da ben prima della pandemia, se non ricordo male.
Accompagnati da due maestre, i bambini hanno avuto modo di sfogliare i libri illustrati preparati per loro e ne sono stati selezionati alcuni da utilizzare per i progetti scolastici.
Da questo punto di vista la biblioteca è decisamente poco sfruttata (su questo ho polemizzato più volte). Il piccolo locale che accoglie più di 7200 volumi in inventario la dovrebbero rendere abbastanza fruibile da parte di diverse tipologie di lettori e lettrici. Ma così non è.
Alcuni paesani, in passato, hanno criticato la mancanza di apertura pomeridiana; peccato che, fino a qualche anno fa, ci fosse e nessuno se ne servisse. A esclusione delle feste comandate i miei turni sono sempre coperti, anche ad agosto, durante le festività natalizie e pasquali e il sabato mattina. Nemmeno durante le vacanze, le ferie e il fine settimana queste persone si sono mai viste.
Perché non ammettere semplicemente che leggere non interessa? Ormai è lampante. Del resto una precedente amministrazione comunale si era espressa contro l’apertura della biblioteca perché ritenuta inutile. Quindi potete farvi un’idea della mentalità dilagante della maggior parte dei paesani. Le uniche attività ritenute utili sono zappare la terra, spargere catrame e cemento, cacciare, allevare e ammazzare animali: il resto è roba da gente che non contribuisce al benessere sociale solo perché i pensieri non sono tangibili.
Nonostante questa ritrosia nei confronti della cultura e della parola scritta, a gennaio abbiamo stabilito il primato di libri presi in prestito, battendo quello precedente che risaliva esattamente a un anno fa.

Da quando sono l’unico bibliotecario ne ho approfittato per riorganizzare le varie sezioni. Per due volte ho movimentato, tutto da solo, gli oltre 7200 volumi per sfruttare meglio gli spazi e rendere la distribuzione delle sezioni più sensata. Terminato quel lavoro ho controllato singolarmente i libri uno per uno per aggiornare l’inventario elettronico e verificare che fossero nella sezione e nell’ordine alfabetico corretto. L’ultima fase è stata il confronto tra inventario elettronico e cartellini cartacei.
Anche se c’è voluto parecchio tempo (oltre un mese la prima volta, un paio di settimane la seconda) e per un certo periodo la biblioteca è stata caotica (c’erano libri sparsi ovunque), direi che ne è valsa la pena.
Adesso c’è una logica nell’organizzazione generale e i libri sono tutti dove dovrebbero essere, sebbene ogni tanto capiti che qualche lettore, in fase di scelta, ne riponga uno o due in maniera errata. Ma sono pochissimi i libri che sfuggono al mio occhio attento e vigile (anche perché sono molto pignolo); a volte mi basta uno sguardo di sfuggita per correggere lo sbaglio.
Ce l’ho un po’ di vizio questa abitudine di stravolgere e riorganizzare, di fare tabula rasa e ricominciare da zero. Sento come una vocina che mi dice che c’è sempre una disposizione migliore alla quale, per qualche misteriosa ragione, non avevo pensato in precedenza.
E poi mi piace etichettare, assegnare a ogni cosa il proprio posto. Del resto lo faccio anche con le persone: l’indefinibile, per me, non è contemplato.
Mi succede in biblioteca, nel blog e anche nei rapporti personali. Il vantaggio dei libri è che loro non si oppongo al mio “ordine naturale delle cose”.

Pubblico alcune foto della biblioteca.

Vittorio Tatti

Tavitudine

Cos’è la Tavitudine? Come si può facilmente dedurre dal suffisso -tudine, è uno stato mentale. Ma attenzione, perché solo io posso beneficiarne. Dal momento che il prefisso Tavi- è l’unione delle sillabe iniziali del mio cognome e nome, se volete a tutti i costi utilizzare tale termine fatemelo sapere, così già che ci sono vi spedisco pure le mie bollette.
La Tavitudine non nasce dall’esigenza di esprimere ideologie o scelte etiche e morali (per quelle ci sono altri terreni di battaglia): si fonda unicamente sul principio dell’intrattenimento atto alla beatitudine (termine un po’ esagerato, me ne rendo conto). Non è solo inclusiva (quello che mi piace fare), ma è anche esclusiva (quello che non mi piace fare); questa precisazione è importante perché rafforza i due estremi che mi contraddistinguono: giusto e sbagliato, cattivo e buono, bianco e nero.
Penso sia inutile che mi soffermi ulteriormente su questo punto: chi mi conosce già sa e chi non mi conosce capirà col tempo.

Cosa include la Tavitudine? Sicuramente altre -tudini: singletudine, nerditudine e gattitudine.
Con la singletudine non è mia intenzione rinnegare le relazioni sentimentali avute in passato. Non nego che mi abbiano offerto momenti molto piacevoli, fintanto che le cose andavano bene. Non nego nemmeno che siano terminate anche per incompatibilità caratteriali.
Essendo poco propenso al compromesso e alla mediazione, mi sono ritrovato spesso nella complessa situazione di non capire come gestire il dibattito. Penso sia troppo facile e superficiale credere che, per andare d’accordo, basti pensarla allo stesso modo. Purtroppo l’alternativa è proprio un elemento che a me manca: la predisposizione alla tolleranza.
Chi non la pensa come me vuol dire che è contro di me. Ragionamento essenziale e razionalmente fallace, ma cosa devo dire a mia discolpa? Da quel punto di vista credo di avere ancora tanto da imparare, magari facendo tesoro proprio delle relazioni passate.
Nel frattempo, approfittando dei momenti di pausa sentimentale, è mia intenzione rigenerarmi nella singletudine. Può voler dire che non interagirò con nessuna o che lo farò senza impegnarmi.

Serve davvero che spieghi il concetto di nerditudine? Forse sì, per chi non è nerd.
In questo caso entrano in gioco il piacere di stare da solo e di isolarmi dalla gente. Attenzione che, nel mio caso, la scelta di isolarmi deriva dalla misantropia e non da qualche forma di sociofobia o asocialità. Sono nerd perché sono misantropo e sono misantropo perché sono nerd.
In quanto nerd di vecchia generazione videogioco esclusivamente in solitaria (il cosiddetto single player), perché giocare con altre persone online (multiplayer) significherebbe socializzare, anche se solo virtualmente. Per interagire ci sono sempre chat, blog, social network, forum e via dicendo. Il videogioco per me è un’esperienza estremamente personale e intima (toglietevi quello sguardo dalla faccia: non mi riferisco ai videogiochi porno). Per aumentare il grado di immedesimazione e il livello di evasione dalla realtà non devo avere distrazioni di sorta.

Ho fatto riferimento all’evasione mentale, che poi è proprio il senso dell’isolamento dalla società e della passione per un certo tipo di intrattenimento casalingo. Di cos’altro dispongo per evadere, videogiochi a parte? Di film, serie tv, documentari e anime. Poi c’è la lettura di romanzi, poesie, saggi e manga. Guardo o leggo a seconda dell’ora della giornata e del tempo libero a disposizione.
Ascolto pochissima musica, più che altro perché mi piace il silenzio. Quando sono intento in qualche faccenda domestica e vedo che i gatti sono rilassati, saltuariamente preparo una raccolta di canzoni degli anni ’80 oppure di sigle degli anime in giapponese. Più raramente metto sigle degli anime in italiano (solo quelle più vecchie) o canzoni pop (in lingua italiana o straniera). Non ascolto altri generi come rock, punk, latina, jazz, rap o trap perché non mi piacciono. Penso che non mi dispiacerebbe ascoltare musica classica, ma non sono mai rilassato a sufficienza (e mai lo sarò) per dedicarmici.
Infine c’è la scrittura. Diversamente da altri passatempi, attivi o passivi che siano, la scrittura mi dà modo di dare vita con le mie mani a fantasie più in linea con i miei pensieri e stato d’animo.
In genere vado avanti per ossessioni. A seconda del periodo e dell’umore mi fisso o solo sui videogiochi o solo sulle serie tv o solo sui manga. Raramente assaporo le diverse forme d’arte in combinazione tra loro.

Ed eccoci giunti alla gattitudine. Mi spiace dirlo ma, se non avete gatti (e, in molti casi, nemmeno se li avete), non potete comprendere a pieno questa -tudine.
I gatti posseggono la straordinaria capacità di farti girare i coglioni a mille e, allo stesso tempo, di intenerirti come se fossi la ragazzina pucciosa e kawaii (carina) di un anime. Il gatto, almeno finché sta bene di salute, è simbolo per eccellenza di libertà, indipendenza, spensieratezza, cazzeggio, ozio, lunaticità, imprevedibilità, fancazzismo e fanculismo. Ripeto: finché sta bene di salute.
Cos’è la gattitudine se non essere un gatto antropomorfo in mezzo ad altri gatti? Anche se non ne ho mai avuto uno, non penso che l’interazione con un cane (animale antropocentrico per antonomasia) possa sortire effetti analoghi a quelli che si possono avere con uno o più gatti. Il cane si fa comandare, il gatto comanda.
C’è un meme che ironizza su questo concetto. Un cane e un gatto vanno in Paradiso e si trovano al cospetto di Dio, il quale è seduto su un trono. Il cane dice di essere stato bravo in vita, quindi vivrà nella pace eterna il resto dell’esistenza. Il gatto dice a Dio che si è seduto al suo posto.
Sono mitici, e a volte stronzi.

Arriviamo agli aspetti negativi della vita sociale in relazione all’intrattenimento. Cosa esclude la Tavitudine? La solitudine e altre cose che non finiscono per -tudine.
Ecco una -tudine che non mi appartiene: la solitudine. Si è già capito che, nella maggior parte dei casi, mi piace stare da solo per ragioni caratteriali. Per quanto non disprezzi il rapporto fisico e mentale che si può instaurare con una femmina umana, non sono una persona che patisce la sua assenza al punto tale di dovermi accontentare di una qualsiasi. Anzi, più passa il tempo e più divento selettivo.
Se anche iniziassi a percepire un formicolio simile alla solitudine, non risolverei il problema fisico facendo sesso con una prostituta né quello mentale dialogando con una che scrive “c’è ne” invece di “ce n’è”.
Quindi l’accezione negativa della solitudine scompare e diventa positiva; cambia anche il termine per descrivere quello stato: solitarietà.

Tra i passatempi tipici dei terrestri (in questo caso mi considero un alieno) ci sono: bere alcolici e bevande energetiche (includo il caffè), correre in moto o in auto (includo i quad), assumere droghe assortite (includo le sigarette), praticare sport estremi, giocare d’azzardo, ballare in discoteca ascoltando musica assordante, partecipare a festini vari conoscendo gente estranea e praticare sesso occasionale. Parto subito da quest’ultimo passatempo spiegando il mio punto di vista, così chiudo il discorso.
Penso che adesso arriverà il mio turno di prendermi un cazziatone, ma pazienza.

Sono ostile nei confronti di ogni dogma religioso, non riconosco il significato di castità forzata per devozione verso qualche mitologica divinità e non comprendo il piacere di instaurare un legame sessuale senza quello emotivo.
Non considero immorale il sesso occasionale in sé, sempre che non ci siano di mezzo la mercificazione o una relazione sentimentale. Tradotto: quando sto con qualcuna non vado mai con un’altra, e sicuramente non lo farei con una a pagamento.
Invece non giudico se io non sto con nessuna e la lei di turno è impegnata, fidanzata o sposata (a meno che non lo sia con me, ehm…). Però dev’essere un tradimento vero e proprio, non in accordo con la controparte maschile (il cosiddetto cuckold, ossia cornuto consapevole).
Sono stronzo? Può essere, non accampo scuse. Resta il fatto che provo una forte attrazione per ragazze e donne che hanno già un legame, forse per la trasgressione in sé o forse perché, ma non ci metterei la mano sul fuoco, non corro il rischio di dovermi impegnare a lungo termine.
Di certo c’è che la lei di turno deve attrarmi non solo fisicamente, ma anche mentalmente e grammaticalmente.
Penso di non dover aggiungere altro sulla questione. Andiamo avanti.

Non concepisco il piacere di perdere il controllo delle proprie facoltà mentali ubriacandosi o drogandosi. Lo trovo intollerabile e biasimo chi lo fa, anche quando finisce per diventare vittima della propria incoscienza. Biasimo anche la dipendenza in quanto, nel 2024, l’ignoranza sugli effetti deleteri di certe sostanze non costituisce più alcun alibi per aprirsi al vizio; vale anche per il gioco d’azzardo.
Fai quello che vuoi, purché ne paghi lo scotto. Ancora meglio: non fare quello che vuoi, perché la tua stupidità potrebbe mettere in pericolo chi niente ha a che fare con te. Altro che proibizionismo: agirei senza pietà non solo nei confronti di chi produce, ma anche di chi consuma. Senza pietà.
In vita mia non ho mai dovuto opporre alcuno sforzo per resistere alla tentazione di provare qualcosa di potenzialmente nocivo per la mia mente. Qualcuno ci ha provato a iniziarmi a certe pratiche, ma mi è sempre bastato rifiutare e il discorso finiva lì.
Lo so bene che nemmeno respirare i gas di scarico delle auto non è salutare, ma quello non sempre si può evitare, mentre tutto il resto dipende dalla volontà dell’individuo.
Non accetto nemmeno discorsi del tipo “Allora cosa vivi a fare?”. Che cazzo significa? Vivere non vuol dire comportarsi da idiota. Puoi legittimamente spassartela, ma senza ricorrere a sostanze estranee al tuo organismo.

Ho dimenticato qualcosa? Ah sì, gli sport estremi. Quelli che, in gran parte dei casi, mettono in pericolo i soccorritori e i cui incidenti gravano sul sistema sanitario nazionale. Mi ripeto: sii stupido quanto vuoi, ma pagane lo scotto e non coinvolgere nessun altro. Ancora meglio: evolviti o estinguiti.
Mi è venuto in mente che la gente cosiddetta normale passa il tempo viaggiando.
Odio viaggiare con ogni cellula del mio corpo. Odio conoscere persone nuove (ché intanto finirei per odiarle) e odio dovermi adattare a tradizioni lontane anni-luce dalle mie. Odio il concetto stesso di esperienza sociale, di aprirsi al mondo e alla vita, di rendere meraviglioso ogni giorno come se l’ultimo e altre belinate simili. Bleah…
Se esistesse il teletrasporto penso che mi piacerebbe vedere posti nuovi senza la fatica di dovermi spostare dal punto A al punto B; in mancanza di ciò me ne sto a casa.
Per le cose che detesto ho coniato un termine: fottitudine.

In conclusione, la Tavitudine è l’essenza del me senza gli altri, di quello che mi piace fare al netto di piaghe sociali che estirperei schioccando le dita.
Voi avete una -tudine?

Vittorio Tatti