Un po’ di me, l’alieno

Meglio una mente chiusa e solida, anziché una aperta e piena di falle.
Non significa non poter mai cambiare idea (anche perché, volubile come sono, mi succede pure da un minuto all’altro), ma solo credere al 100% nelle proprie convinzioni.
Quando sono convinto di qualcosa non ho la necessità di trovare un compromesso con un’opinione diversa dalla mia, a meno che quest’ultima non confuti la mia in maniera del tutto spontanea e senza lacune.

Odio le vie di mezzo.
Solo bianco e nero per me. In nessun caso sono intenzionato a cedere a compromessi: se non posso avere tutto, preferisco non avere niente; comunque preferirei avere tutto, logicamente.
Non parlo di cose materiali, ma di ideali astratti, concetti e convinzioni.
Ritengo le sfumature inutilmente dispersive e disorientanti. Molto meglio un’etichetta da apporre a ogni pensiero, in modo da poterlo catalogare, riconoscere, condividere o evitare.

Conta la destinazione, non il viaggio.
Un viaggio, anche metaforico, ha l’obiettivo primario di portarci da un punto A a un punto B nel minor tempo possibile e, ancora meglio, in linea retta.
Poco mi importa delle deviazioni lungo il percorso, anzi: spesso mi spazientiscono ancora di più; semmai ben vengano le scorciatoie.
Qualcuno potrebbe obiettare che, una volta giunto a destinazione, potrei non godermela pienamente; in quel caso mi basta cambiare obiettivo e trovare una nuova fonte di stimoli.

Ho bisogno di un amore intenso.
La maggior parte delle persone tende ad accontentarsi di una tiepida e insapore relazione serena, che non provochi eccessivi scossoni emotivi; l’assenza di dolore, tuttavia, non implica automaticamente la presenza della felicità.
Personalmente sento la necessità di estremizzare le emozioni derivanti da un rapporto intimo, di renderle folgoranti, ardenti e consumanti, altrimenti non riesco a percepirne la presenza né a dar loro un senso.

Vittorio Tatti

Visita in biblioteca

Qualche mattina fa, in biblioteca, è venuta in visita una classe della scuola materna; non succedeva da ben prima della pandemia, se non ricordo male.
Accompagnati da due maestre, i bambini hanno avuto modo di sfogliare i libri illustrati preparati per loro e ne sono stati selezionati alcuni da utilizzare per i progetti scolastici.
Da questo punto di vista la biblioteca è decisamente poco sfruttata (su questo ho polemizzato più volte). Il piccolo locale che accoglie più di 7200 volumi in inventario la dovrebbero rendere abbastanza fruibile da parte di diverse tipologie di lettori e lettrici. Ma così non è.
Alcuni paesani, in passato, hanno criticato la mancanza di apertura pomeridiana; peccato che, fino a qualche anno fa, ci fosse e nessuno se ne servisse. A esclusione delle feste comandate i miei turni sono sempre coperti, anche ad agosto, durante le festività natalizie e pasquali e il sabato mattina. Nemmeno durante le vacanze, le ferie e il fine settimana queste persone si sono mai viste.
Perché non ammettere semplicemente che leggere non interessa? Ormai è lampante. Del resto una precedente amministrazione comunale si era espressa contro l’apertura della biblioteca perché ritenuta inutile. Quindi potete farvi un’idea della mentalità dilagante della maggior parte dei paesani. Le uniche attività ritenute utili sono zappare la terra, spargere catrame e cemento, cacciare, allevare e ammazzare animali: il resto è roba da gente che non contribuisce al benessere sociale solo perché i pensieri non sono tangibili.
Nonostante questa ritrosia nei confronti della cultura e della parola scritta, a gennaio abbiamo stabilito il primato di libri presi in prestito, battendo quello precedente che risaliva esattamente a un anno fa.

Da quando sono l’unico bibliotecario ne ho approfittato per riorganizzare le varie sezioni. Per due volte ho movimentato, tutto da solo, gli oltre 7200 volumi per sfruttare meglio gli spazi e rendere la distribuzione delle sezioni più sensata. Terminato quel lavoro ho controllato singolarmente i libri uno per uno per aggiornare l’inventario elettronico e verificare che fossero nella sezione e nell’ordine alfabetico corretto. L’ultima fase è stata il confronto tra inventario elettronico e cartellini cartacei.
Anche se c’è voluto parecchio tempo (oltre un mese la prima volta, un paio di settimane la seconda) e per un certo periodo la biblioteca è stata caotica (c’erano libri sparsi ovunque), direi che ne è valsa la pena.
Adesso c’è una logica nell’organizzazione generale e i libri sono tutti dove dovrebbero essere, sebbene ogni tanto capiti che qualche lettore, in fase di scelta, ne riponga uno o due in maniera errata. Ma sono pochissimi i libri che sfuggono al mio occhio attento e vigile (anche perché sono molto pignolo); a volte mi basta uno sguardo di sfuggita per correggere lo sbaglio.
Ce l’ho un po’ di vizio questa abitudine di stravolgere e riorganizzare, di fare tabula rasa e ricominciare da zero. Sento come una vocina che mi dice che c’è sempre una disposizione migliore alla quale, per qualche misteriosa ragione, non avevo pensato in precedenza.
E poi mi piace etichettare, assegnare a ogni cosa il proprio posto. Del resto lo faccio anche con le persone: l’indefinibile, per me, non è contemplato.
Mi succede in biblioteca, nel blog e anche nei rapporti personali. Il vantaggio dei libri è che loro non si oppongo al mio “ordine naturale delle cose”.

Pubblico alcune foto della biblioteca.

Vittorio Tatti