La vita in un diario

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Genova – Albergo “Mare Blu” (stanza privata n° 18)
23 Febbraio 2102 – 20:32
Quarto giorno

Oggi ho saltato la colazione, non ho pranzato e nemmeno cenato: non ce la faccio.
Dopo essere tornata in albergo, ho fatto subito la doccia per rilassarmi, ma non è servita granché. Non abbiamo avuto la forza per affrontare l’argomento terrorismo durante i test, un po’ perché, in questa fase, c’è assoluto bisogno di mantenere la concentrazione, un po’ perché abbiamo preferito fare finta di nulla: il programma deve andare avanti, nonostante tutto.
Ho cercato con lo sguardo Giorgio e Luca per valutarne le reazioni, ma sediamo parecchio distanti, quindi non sono riuscita ad analizzarne le espressioni. Ma ho notato che sono rimasti comunque sempre molto composti, al contrario di altri che, per una ragione o per l’altra, si sono lasciati andare a gesti di stizza e rabbia. In particolare, mi ha colpita una candidata di nome Rebecca. Senza alcun riguardo, ha inveito contro i docenti, colpevoli a suo dire di non considerare le possibili ripercussioni degli ultimi attentati terroristici. Nello stesso tavolo c’era anche una certa Chiara, una ragazza apparentemente molto socievole e già amica di Giorgio e Luca; lei non ha emesso un solo fiato.
Al Tempio del Sapere non ci sono né tv né radio, e i quotidiani sono in una sezione che non viene utilizzata da noi candidati. I docenti, prevedibilmente, non ci hanno fornito nessuna scusa per saltare i test; speravo in un po’ di riposo, ne avrei realmente bisogno.
Con fatica, credo di essermi calmata un po’, soprattutto perché altri due attentati, sempre in Giappone, sono stati sventati.
Per distrarmi racconterò una nostra giornata tipo:

08:00 arrivo al Tempio del Sapere
09:00 fine appello e inizio test del mattino
13:00 pausa pranzo
14:00 inizio test del pomeriggio
18:00 fine test e ritorno all’albergo

I test del mattino e del pomeriggio sono diversi: i primi si basano sulla lettura (teoria), i secondi sulla scrittura vera e propria (pratica). Ogni fase è suddivisa in quattro ore ciascuna, le quali vengono suddivise ulteriormente in due parti da due ore. I test del mattino, sulla lettura, consistono appunto nella lettura di alcune pagine estrapolate casualmente da alcuni romanzi di varie Nazioni. Ci vengono consegnate duecento pagine e rispettivi questionari, che dobbiamo compilare in un tempo limite. Durante le prime due ore dobbiamo leggere le duecento pagine, per una media di cento pagine all’ora. Nelle restanti due ore dobbiamo rispondere alle domande relative alle pagine lette; pagine da leggere e questionari sono uguali per tutti i partecipanti. Se qualcuno se lo stesse chiedendo, vi assicuro che è assolutamente impossibile copiare, dal momento che ogni tavolo è munito di telecamera nanodronica collegata a un docente; ogni docente controlla dieci partecipanti. Ho detto che è impossibile copiare, ma non è detto che nessuno ci provi. Chi dovesse essere colto in flagrante, verrebbe espulso all’istante, il suo nome finirebbe in una lista nera (di conseguenza, neanche prendere la cittadinanza in un’altra Nazione gli consentirebbe di partecipare alle Olimpiadi della Scrittura) e verrebbe multato del dieci per cento del valore dei libri presenti nel Tempio del Sapere: se non si hanno i crediti per pagare, si trascorrono tanti giorni in carcere quanti sono i libri presenti in quel dieci per cento. Generalmente, questo si traduce nell’ergastolo, dal momento che c’è la certezza matematica di superare i centomila giorni (equivalenti a circa duecentosettantatré anni). Ne consegue che nessuno sia così idiota da tentare di copiare.
Dite che c’è poca flessibilità? Io, invece, dico proprio di no: chi imbroglia, deve pagare.
Riassumendo: abbiamo due ore per leggere e due ore per rispondere alle domande scritte. Inutile dire che, ogni giorno, abbiamo duecento pagine sempre diverse; può capitare che vengano presentati estratti dello stesso romanzo, ma solo a distanza di qualche mese le une dalle altre.

A questo punto, arriviamo ai test del pomeriggio (ovviamente dopo la pausa pranzo). Anche queste quattro ore vengono suddivise in due blocchi da due. Come ho anticipato, nel pomeriggio ci concentriamo sulla scrittura. Durante le prime due ore dobbiamo scrivere, servendoci di penne indelebili fornite da loro, cento pagine di un racconto lungo. I docenti ci suggeriscono cinquanta tracce da seguire: pur essendo tutte di fantasia, possono variare molto. Per esempio, si può partire da un discorso tra un frigorifero e una lavatrice, per arrivare a un introspettivo dialogo interiore con la propria coscienza.
Ho detto fantasia, giusto? Ecco, anche in quest’ultimo caso, dovremmo fingere d’impersonare qualcuno che non esista nella realtà. Il perché sia sconsigliato immettere fatti personali nei racconti, è presto detto: gli scritti vengono raccolti e inseriti digitalmente in un database, che li terrà memorizzati vita natural durante. Nessuno di questi sarà raccolto in volume o utilizzato per sviluppare un romanzo. Allora perché conservarli? E perché non trarre ispirazione dalle proprie esperienze di vita? Alla seconda domanda, si può rispondere con un “perché se si usa la realtà, non si stimola la fantasia”. Alla prima domanda, invece, non so dare una risposta. C’è chi dice che vengano utilizzati per le lezioni degli studenti della scuola obbligatoria, probabilmente come linee guida su come partire per scrivere un racconto senza iniziare subito da quelli più impegnativi (come dire: siamo ancora a un livello inferiore…).
Rimane il fatto che a nessuno, nemmeno ai docenti, sia stato dato il permesso di leggerli. Il computer nanodronico si occupa di correggere, e segnalare, eventuali errori grammaticali, ma nessun umano ha l’autorizzazione per consultarli.
Tutte queste sono comunque congetture mie, dal momento che questa procedura di scrematura dei partecipanti per le prossime Olimpiadi è un’eccezione, e non la regola fissa. Di conseguenza, le motivazioni che stanno alla base di certe logiche possono differire completamente dalle mie (che si basano, più che altro, su pettegolezzi).

Ho deciso che, da domani, porterò con me il diario e scriverò anche durante la pausa pranzo.

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Estratto dal romanzo La vita in un diario (disponibile su Amazon e altri negozi online).

© Vittorio Tatti

Effetto farfalla

L’isola era deserta. Vagai a lungo alla ricerca di qualche traccia di civiltà, ma non ne trovai nemmeno una piccola, a esclusione del relitto della piccola barca che mi aveva condotto lì.
Con un po’ di pazienza, forse, avrei potuto utilizzare i rami degli alberi per costruire una zattera di fortuna, ma avrebbe richiesto una non indifferente dose di tempo e, non ultima, una ferrea determinazione di andarmene dall’isola.
Dopo una lunga ricerca mi ero recato volontariamente sull’isola, quindi non avevo alcuna ragione per andarmene. Decisi che quella sarebbe stata la mia nuova dimora, così presi un pezzo di legno e utilizzai la sabbia della spiaggia come superficie sulla quale riportare i miei pensieri; inaugurai la mia nuova pagina di storia su quel luogo sperduto con un elenco delle mie necessità.
Prima di tutto mi sarei dovuto occupare di costruire un rifugio, oppure cercare una grotta ai piedi della piccola montagna centrale presente sull’isola.
In seguito avrei dovuto fare scorta di viveri e acqua potabile; avevo individuato subito un ruscello, mentre avrei potuto ricavare il cibo dai numerosi alberi da frutta presenti.
Mi sarei dovuto adattare a bere solo acqua e latte di cocco, mentre il mio unico cibo sarebbero state banane, ananas e tamarilli; con un po’ di fantasia, però, forse sarei riuscito anche a produrre una sottospecie di frullato tropicale.
Per fortuna trovai subito una caverna – poco profonda a dire il vero – ma sufficiente per contenere me e qualche razione da consumare al momento. Avendo praticamente tutto a portata di mano, riflettei in seguito, mi ero reso conto di non avere un bisogno impellente di accumulare frutta e acqua; non avendo con me alcun tipo di recipiente, inoltre, sarebbe stato problematico trasportare e conservare una grande quantità di alimenti.
La caverna era umida e lugubre, ma decisamente adatta come riparo dal sole cocente e dagli improvvisi acquazzoni tipici della latitudine. Al suo interno scoprii un discreto giacimento di selce, pietra che avrei potuto utilizzare, dopo averla opportunamente lavorata, sia come utensile sia per accendere il fuoco; non ignorai nemmeno la possibilità di servirmene per scrivere sulle pareti della caverna, dal momento che la spiaggia veniva livellata quasi istantaneamente dalle onde marine.
Al termine della mia prima giornata sull’isola disponevo di un riparo, di acqua per dissetarmi, di frutta per sfamarmi e di una pietra con la quale avrei potuto scrivere e dare vita al fuoco.
A rendermi maggiormente felice, però, fu la totale assenza di esseri umani: l’isola era così silenziosa che potevo riuscire a sentire il mio respiro; era un vero paradiso.

Mi addormentai all’istante e così profondamente che non mi resi conto che una famelica tigre dai denti a sciabola, giunta chissà come sull’isola, aveva già iniziato a puntarmi.
Aprii gli occhi solo per rendermi conto che il mio collo era già stretto tra le sue fauci; strinse così forte la mascella da strapparmi di netto una piccola porzione di gola.
Preso da un irrazionale istinto di sopravvivenza portai le mani sulla ferita, nel vano tentativo di tamponare l’inarrestabile flusso di sangue.
La tigre spiccò un balzo verso di me, facendomi rotolare a terra dopo avermi spinto con tutta la propria massa muscolare. Con una zampata mi squarciò il petto, provocando un’ulteriore uscita di sangue. Iniziò a divorarmi le budella, ma io era ancora vivo e cosciente, quindi potevo rendermi conto di ogni suo gesto.
Finalmente i sensi mi abbandonarono e il dolore si fece meno intenso: stavo morendo. Una lieve scossa di terremoto, però, mi destò dall’inevitabile e permanente sonno: il vulcano si era risvegliato proprio in quel momento, spaventando la tigre e costringendola a cercare un riparo.
La parete interna della caverna venne sgretolata dalla pressione e, lentamente, la lava la sommerse. Cercai in qualche modo di rialzarmi, sebbene le mie condizioni fossero già oltre ogni livello di criticità. Neanche all’esterno la situazione era delle migliori: un furioso temporale stava scatenando un inferno di tuoni e fulmini. Uno di essi colpì un albero, il quale mi venne addosso provocandomi la rottura delle braccia e di qualche costola. Con quel grosso ammasso di legno a impedirmi ogni movimento, ragionai, sarei stato raggiunto presto dalla lava.
Con le mani intrise di sangue spinsi il tronco carbonizzato con tutte le mie forze, ma le fratture impedivano ogni sforzo; solo facendo leva con spalle e gambe riuscii miracolosamente a liberarmi. Mi rialzai in piedi e tentai di trovare la salvezza dove la lava si sarebbe raffreddata arrestando il proprio implacabile cammino, ossia in mare.
Dopo essere entrato in acqua fino al petto sentii qualcosa colpirmi la schiena: era uno squalo, evidentemente attirato dall’odore del mio sangue. Corsi verso la riva per sfuggire alla sua presa mortale, ma lì mi trovai nuovamente faccia a faccia con la tigre, la quale si era appostata su uno scoglio per evitare la scia della lava.
Ero circondato: davanti la tigre, dietro lo squalo e a destra la lava; l’unica via di fuga possibile si trovava alla mia sinistra. Effettuai una fuga disperata facendomi guidare dalla luce dei lampi. Mi ritrovai nel folto della foresta, esattamente dalla parte opposta della caverna. La tigre, per raggiungermi, avrebbe dovuto attraversare il fiume di lava o entrare in mare e lottare con lo squalo, quindi ritenni di avere buone probabilità di essere scampato al pericolo.
Il sangue stava continuando a uscire sia dalla gola sia dal ventre, avevo le braccia fratturate e respiravo a fatica a causa della compressione del petto: mi trovavo in una situazione disperata, anche se, ragionando meglio, ero stato fortunato ad essere sopravvissuto così a lungo.
La fitta vegetazione si rese complice della già tenebrosa notte. Il temporale si era placato, così non potei orientarmi grazie alla luce intermittente dei lampi. Per evitare di incappare in qualche altro guaio decisi, saggiamente, di attendere l’alba appoggiandomi a un albero. Nonostante avessi le braccia rotte e le mani tremanti, riuscii a raccogliere un paio di grosse foglie e, con qualche liana penzolante, ottenni dei bendaggi rudimentali; in qualche modo anche dolore e paura si quietarono.

Quando aprii gli occhi, svegliato da un delicato cinguettio, mi accorsi che il sole era già alto oltre l’orizzonte. Ero riuscito a superare la tremenda notte e, sebbene fossi ancora in condizioni fisiche disperate, cominciai a intravedere la speranza.
Rinfrancato dal riposo mi alzai di scatto, ma una goccia caduta sulla mia testa richiamò la mia attenzione. La toccai con un dito e, pur con le mani sporche del mio sangue, scoprii che anche quello che avevo in testa era lo stesso liquido.
Alzai la testa verso l’alto e vidi nuovamente la tigre, diventata a sua volta preda di una creatura più feroce e possente di lei: un tirannosauro!
In quella situazione inverosimile, e con la mia mente annebbiata da tutti gli eventi surreali accaduti fino a quel momento, lanciai un grido di rabbia rivolto al poco estinto dinosauro. Gli tirai una pietra e lo colpii in testa, ma sapevo che non sarei mai riuscito a ucciderlo nemmeno se avessi potuto sollevare un masso.
Arretrai di un passo senza dargli le spalle, ma inciampai in una radice sporgente e caddi rovinosamente al suolo. Il t-rex allungò i propri artigli nella mia direzione, ma venne distratto da una farfalla che gli svolazzava di fronte al muso. Spalancò le fauci e la divorò senza alcuna fatica; dopo pochi secondi l’enorme t-rex stramazzò a terra, privo di vita. Notai un’altra farfalla poco distante da me, mi alzai e la catturai tenendola tra i palmi delle mani. Cercai di osservarla senza farla scappare o farle del male, così mi accorsi della particolare colorazione rossa delle ali. Decisi di liberarla e questa, per ringraziarmi, lasciò cadere sulle mie mani della polverina scarlatta.
Sospettai che fosse velenosa, non solo per la misteriosa morte del t-rex, ma anche perché sapevo che il rosso era un segno di pericolo nel regno animale. Andai verso il mare per pulirmi le mani e darmi una lavata, ma mi ricordai della presenza dello squalo, così cambiai direzione a favore della foce del ruscello.
Il vulcano si era calmato, ma la lava emanava ancora un calore incandescente, quindi sufficiente da impedirmi di andare dall’altra parte e raggiungere la fonte d’acqua dolce; la tigre, con tutta probabilità, o era entrata in mare per superare la lava o aveva fatto il giro dell’intera isola; essendo diventata cibo per il t-rex e non per lo squalo, quest’ultima ipotesi era la più probabile.
Non volendo rischiare di fare un incontro ravvicinato con lo squalo, e sperando che non ci fossero altri dinosauri, valutai la possibilità di fare il giro dell’isola.

Camminando per quel tragitto di tre o quattro chilometri ebbi il tempo per pensare a quelle stranezze: la tigre dai denti a sciabola, il t-rex, la farfalla velenosa e il fatto stesso che l’isola fosse completamente deserta; l’avevo scelta casualmente come meta, ma forse ero incappato in una proprietà governativa dove si svolgevano test sulla clonazione e sulle armi chimiche.
Finalmente vidi di fronte a me il ruscello; per non contaminare l’acqua potabile cercai di andare il più vicino possibile al mare. Mi lavai le mani e l’acqua si colorò di rosso, come se vi avessi versato del sangue. Il ricordo delle ferite mi rammentò che, sulle mani, c’era effettivamente il mio sangue coagulato.
In lontananza vidi la pinna dello squalo emergere, forse calamitato dalle tracce ematiche.
Rimasi sbigottito quando, dopo pochi secondi, lo vidi immobile pancia all’aria: era morto anche lui, forse perché aveva ingerito le minuscole particelle del veleno della farfalla.
La moria si propagò all’intera fauna dell’insenatura, ma non solo. Rivolgendo lo sguardo oltre il fiume di lava mi accorsi che, alcuni volatili, stavano precipitando senza dare segni di vita. Poco più lontano, osservando l’apertura della caverna, vidi sbucare centinaia di quelle farfalle dalle ali rosse.
Cercai di riflettere con calma: forse non mi trovavo su un’isola militare, ma in un remoto angolo di mondo rimasto intatto fin dalla preistoria. La scossa tellurica provocata dal risveglio del vulcano aveva aperto, con ogni probabilità, un varco verso un sottosuolo popolato da animali ritenuti estinti, incluse le letali farfalle.
Solo un particolare non trovava spiegazione: perché io ero ancora vivo? All’inizio pensai che la polvere rossa, per uccidere, dovesse essere ingerita, ma la strage di volatili mi fece intuire che era fatale anche per inalazione, se non addirittura per semplice contatto. Come spiegare, allora, la mia sopravvivenza?
Quando vidi il t-rex e la tigre, che credevo morti, venire verso di me capii tutto: la polvere rossa poteva uccidere, ma anche riportare in vita chi era già morto. Forse le mie ferite erano state così gravi che, dopo essermi addormentato, era sopraggiunta la morte senza che me ne accorgessi. Non ebbi più alcun dubbio: il mio risveglio era stato provocato da un accidentale contatto con la polvere delle farfalle, per quel motivo ne ero diventato immune.

Attesi qualche minuto, poi vidi lo squalo tornare in vita; dopo di lui anche gli uccelli ripresero a volare in cielo. Quelle strane farfalle creavano zombi, ormai era un dato di fatto. Apparentemente c’era una sola differenza tra la vita e la non-vita: chi resuscitava, non dovendosi più nutrire, perdere quella sorta di ferocia dettata dalla fame. Il t-rex non aveva più aggredito la tigre e scommetto che, se fossi entrato in acqua, lo squalo non mi avrebbe degnato di uno sguardo.
Rimase ancora un solo interrogativo per il quale trovare una risposta: sia il t-rex sia la tigre erano ancora vive prima del mio incontro con loro, segno che non aveva avuto alcun contatto con le farfalle prima di salire in superficie. Quindi dovevano esserci diversi livelli di profondità sotto il vulcano: il primo ospitante la fauna preistorica, il secondo residenza sotterranea delle micidiali farfalle; giustificai la presenza della tigre con l’esistenza di qualche passaggio allargatosi, in seguito, con l’eruzione del vulcano.
Dalla caverna, nel frattempo, continuarono a uscire così tante farfalle da oscurare la luce del sole. Contemplai quel poco di cielo che potevo ammirare, riflettendo sulle conseguenze dell’interazione tra il veleno delle farfalle e gli esseri umani.
Secondo la teoria del caos basterebbe lo sbattere di ali di una farfalla per provocare un uragano in Cina. Quelle creature, forse esperimento della natura o forse umano, avrebbero ucciso tutta la popolazione umana, salvo poi riportarla successivamente in vita sotto forma di zombi.
Dall’isola non avrei mai fatto in tempo ad avvisare tutti ma, anche se avessi potuto, sarei rimasto in silenzio: l’umanità aveva bisogno di un reset, di una pulizia permanente di tutti i peccati compiuti fino a quel momento. Le farfalle non avrebbero mai estinto l’umanità: l’avrebbero solo resa finalmente perfetta.

© Vittorio Tatti

Racconto estratto da Bianco e Nero 100 (disponibile su Amazon e altri negozi online).

Vaccino contro l’influenzerite

Ho capito già da tempo che non sono e non sarò mai un influencer.
Non che aspiri a diventarlo (anzi…), ma direi che un minimo di riscontro mi piacerebbe riceverlo quando, tanto per dirne una, cerco di vendere una discreta quantità di libri usati per finanziare la pappa da destinare ai mici in stallo e di colonia.
Ho tentato questa strada su Facebook, dove al momento ho il maggior numero di follower. Risultato da quando mi sono iscritto a maggio: zero. Risultato sotto Natale, quando tutti dovrebbero essere più buoni e altruisti: zero.
Posso capire che dare soldi sotto forma di donazione susciti qualche sospetto, ma comprando dei libri rimarrebbe comunque qualcosa di tangibile in mano; si tratta a tutti gli effetti di uno scambio equo per entrambe le parti.
Quasi tutti i miei contatti si dichiarano animalisti, gattofili e, in alcuni casi, vegani. E parliamo di gente con lavori ben retribuiti, in alcuni casi addirittura benestante.
È davvero uno sforzo immane per loro comprare 5 o 10 euro di libri sapendo che contribuirebbero a sfamare mici che non aiutano nemmeno personalmente?
E non ho trovato problemi solo nella vendita dei libri usati o dei miei e-book.

Già da tempo ho in mente di aprire un rifugio privato per gatti; rifugio privato e non associazione perché, nel secondo caso, ci sarebbero troppe teste a gestire il tutto e finiremmo per scontrarci (come ho avuto modo di appurare per altre questioni…).
Da un punto di vista imprenditoriale e burocratico sono un inetto completo, quindi ho tentato di chiedere informazioni a chi ne sapeva più di me. Sempre su Facebook ho presentato, in diverse sedi, un annuncio nel quale chiedevo aiuto per capire come iniziare. L’ho pubblicato dividendolo in due parti: una breve e sintetica e una lunga e dettagliata. La ridotta soglia di attenzione dell’utente medio di Facebook ha spinto praticamente tutti a rispondermi senza considerare nemmeno la parte breve.
In poche parole penso che si siano limitati a vedere la lunghezza dell’annuncio e abbiano risposto cose del tipo “Troppo lungo, non leggerò” o “Chiedi a un’associazione”.

Se avessi voluto aprire un’associazione mi sarei rivolto a una di loro, non vi pare? Ma avendo l’intento di concentrarmi su un rifugio privato – e non conoscendone nessuno – non avrei ottenuto risposte esaustive su come eseguire, presumo, una procedura differente.
La lunghezza dell’annuncio, invece, anticipava domande che, se letto in maniera seria, mi avrebbero sicuramente posto in un secondo momento; diciamo che ho provato a giocare d’anticipo per non perdere troppo tempo dopo.
E così neppure in quel caso ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato. Ma scommetto che, se mi filmassi mentre compio scemenze. non solo avrei un seguito molto maggiore, ma mi darebbero anche retta.
Mi hanno suggerito di cambiare approccio pubblicando più foto e video, ma a me piace scrivere ed è con le parole che voglio esprimermi. E il numero di utenti che mi segue non m’interessa; eppure anche conoscere poche persone competenti e disponibili sembra sia un’utopia.

La settimana prossima (l’articolo risale al 7 gennaio) dovrei svolgere un colloquio telefonico con una casa editrice per la pubblicazione di un romanzo che, neanche a farlo apposta, parla anche di gatti e influencer. Questa casa editrice pubblica nel formato print-on-demand e dovrei poter ricevere qualche consiglio utile sul fronte promozionale; tuttavia è altamente probabile che, essendo la mia una causa persa, non se ne farà niente.
Non riuscendo a vendere un libro scritto da Umberto Eco a 1 euro, come potrei convincere qualcuno a spenderne 10 per uno scritto da me? A meno che l’editore non mi riveli una formula magica, è assolutamente impossibile che ci riesca.
Ho capito che sono io il punto debole che rende fragile la mia limitata rete sociale. Ma la mia unica colpa è non voler essere un personaggio.
Sembra che ormai ci sia competizione in ogni ambito, incluso quello del volontariato.
Chi danneggio se apro anch’io un rifugio per gatti? Tolgo qualcosa a qualcuno? Non possiamo avere tutti il nostro spazio, senza intralciarci? La condivisione di un ideale non dovrebbe spingerci, semmai, a collaborare?
Macché, se chiedo qualcosa, anche un semplice consiglio, tutti snobbano la richiesta; però loro pretendono attenzioni da prima donna, spammano, pubblicano scemenze pur di conservare visibilità. Se commenti non scendono mai dal piedistallo per rispondere. Scrivono pure in maniera sgrammaticata, ma a quanto pare sembra che l’ignoranza costituisca una virtù.
Nella catena alimentare dei social network esisto solo per nutrire una famelica creatura chiamata ego; spero di andare di traverso a qualcuno.

Vittorio Tatti

Sussurrando alla musa

Per molti di voi quello che ho fatto potrebbe non avere senso, ma forse non è importante che ce l’abbia. Quello che conta è la motivazione, e questa musa segreta ha avuto la capacità di attrarmi a sé pur senza attrarmi a sé.
Per quanto mi riguarda basta e avanza per dedicarle una raccolta di poesie. In un certo senso l’ho resa immortale, anche se lei non se ne rende conto.
Solo io conosco il suo nome e cognome e il suo volto. Solo io so quanto può essere dolce ed estasiante la fantasia di una sua carezza, di un suo bacio; che certo non può reggere il confronto con la realtà, ma nel mio caso si tratta solo di pura ispirazione. Per uno innamorato dell’amore a volte basta. Non sempre, ma qualche volta ci si deve accontentare.
Lei non sa niente, io non pretendo nulla e nessuno si fa male. Tutto qui.

Sussurrando alla musa è disponibile ora su Amazon e altre librerie digitali.

Vittorio Tatti

Animanera

Giustamente non ve ne fregherà niente, ma è disponibile su Amazon e altre librerie online la mia nuova raccolta poetica: Animanera.
Nutrivo da tempo l’idea di pubblicarla, ma prima ho preferito dare la precedenza al romanzo L’ultima impronta sulla terra in quanto era già pronto da un anno e mi stavo stancando di procrastinare a oltranza.
Titolo, copertina e sinossi dovrebbero dare una chiara idea del tipo di contenuto della raccolta, quindi non mi dilungherò oltre. In ogni caso allontanate da voi qualsiasi speranza di leggere versi su fiori, arcobaleni, fate, unicorni, amicizia, inclusività, etc.
Finalmente mi sono tolto anche questo peso dalle (s)palle. Non scrivere: quello non è mai un peso. Convertire un semplice testo per il formato epub è, invece, una rogna galattica. Sia sempre maledetto chi ha inventato quell’orrendo formato.

Allo stato attuale mi rimane da pubblicare ancora la filastrocca in rima per il libro illustrato, ma non riesco a trovare una soluzione su come disegnare a mano le illustrazioni; e, mi dicono dalla regia, un libro illustrato senza illustrazioni non sarebbe tale.
Se avessi uno stile mio – pulito e riconoscibile – potrei anche tentare la sorte e accontentarmi di qualche scarabocchio, ma se abbozzassi qualsiasi cosa temo che uscirebbe uno sgorbio che nemmeno un bambino delle elementari disegnerebbe.
Credo proprio che questo progetto rimarrà incompiuto ancora per parecchio tempo.

A breve, umore e tempo permettendo, inizierò un nuovo romanzo. Più verosimilmente sarà un racconto, in quanto non credo che inserirò personaggi secondari né intrecci narrativi.
L’argomento sarà la follia: quella del protagonista. Che poi è anche un po’ la mia.
Certo, lo scriverò. Forse, lo pubblicherò. Questo, ancora meno degli altri, sarà un racconto che nessuno/a di voi vorrà leggere. Lo so per certo.

Vittorio Tatti

Nekojima – L’isola dei gatti

Il 2023 stato è un anno da dimenticare, brutto sotto alcuni aspetti e orribile sotto altri.
Quello peggiore è che sono morti tanti gatti, anche in casa.
Sono morti gatti malati che hanno avuto un tracollo rapido o che avevano già il destino segnato a causa di tumori vari.
Una gatta di circa 2 anni è stata addormentata prima che il tumore all’occhio la facesse morire lentamente di fame; non è stata una scelta facile, perché proprio quella mattina la gatta si è messa a giocare come non aveva mai fatto prima (sembrava che volesse farmi capire che non voleva andarsene…).
Un gatto di quasi 6 anni ha lottato coraggiosamente contro gli effetti debilitanti di FIV e FELV; è stato un tracollo lento e inarrestabile.
Un altro di 8 anni si è spento di notte a causa di un tumore inoperabile al naso; si sapeva che sarebbe successo, ma non quando.
Un gattino di un paio di mesi non è stato con me nemmeno un giorno: è arrivato all’indomani mattina morendomi davanti agli occhi a causa di un’infestazione da vermi.
E questo senza contare i tanti gatti e gattini senza ancora un nome investiti dalle auto in una situazione in cui io e le volontarie siamo praticamente stati boicottati da tutti: ente animalista, amministrazione comunale, privati e la persona stessa – ora deceduta – che se ne “prendeva cura” (tenendoli sempre in costante pericolo).
Uno dei pochi superstiti della cucciolata che sembrava essersi miracolosamente salvato è il gattino che poi mi hanno portato a casa quando era ormai troppo tardi.
E ultimamente sono morti altri gatti di colonia sbranati da cani lasciati incustoditi.

In questa zona di decerebrati non passa letteralmente giorno senza una segnalazione di cani scappati da casa che vagano indisturbati per il territorio.
Fosse solo quello il problema risolvi sequestrando il cane, multando il padrone e stop.
Invece i cani, quando li recuperano dopo tanti giorni, vengono restituiti agli illegittimi proprietari, che inevitabilmente finiscono per lasciarli nuovamente liberi.
C’è mancanza di responsabilità dei padroni e mancanza di controlli delle istituzioni.
C’è menefreghismo imperante da parte di tutti e nessun colpevole.
Poi dicono che è sbagliato farsi giustizia da soli…
Questa mentalità da contadini retrogradi viene applicata anche ai cosiddetti gatti padronali, che si ritrovano ad assaporare la libertà patendo la fame e il freddo o finendo sotto un’auto o, appunto, sbranati da qualche cane,
Parlo di paesi che si trovano in Piemonte e che invece non sfigurerebbero, in quanto ad arretratezza mentale, nemmeno in confronto alla baraccopoli più povera e degradata della Calabria.
Al momento non mi sono giunte notizie di gatti morti dovuti ai botti, ma non sapere non significa che non sia successo nulla.
Mi fermo qui, prima che la rabbia mi faccia scrivere cose che potrebbero essere usate contro di me in un tribunale.

Sono certo che in molti non capiranno perché me la prenda tanto per dei gatti morti.
Sono solo animali, giusto?
Nemmeno il me stesso di qualche decennio fa lo capirebbe, perché non m’importava granché né dei gatti né degli animali in generale.
Ora non sono pentito di essere diventato gattofilo e animalista, ma di non esserlo diventato prima, molto prima.
Non avrei sicuramente potuto fare la differenza, ma nel mio piccolo avrei potuto dare un contributo.
È anche per questo che riesco a riconoscere i comportamenti dannosi, a volte involontari, ma sempre dannosi.
E avrei voluto che, all’epoca, qualcuno me li facesse notare per evitare errori irrimediabili.
Quel che è fatto è fatto: ora tocca a me tentare di (ri)portare qualcuno sulla retta via, ma si tratta di un’ardua impresa perché affrontare l’argomento costringe le persone a farsi un profondo esame di coscienza.

Perché specifico di essere gattofilo e non solo animalista?
A livello personale, anche se so che non dovrei, metto i gatti su un piano superiore rispetto agli altri animali (soprattutto i cani, che personalmente non mi sono molto simpatici per diverse ragioni, anche se non farei mai loro del male).
Per quanto mi riguarda sono eleganti, fieri, maestosi, raffinati, principeschi, sublimi, magici, divini.
Per me il gatto è l’espressione massima di arte biologica.
Da ateo non credo che esista una qualche forma di esistenza dopo la morte; non credo nemmeno nel famoso Ponte dell’arcobaleno, una sorta di Paradiso destinato agli animali.
Eppure anche io ho immaginato un luogo simile per loro.
Ne parlo in modo particolare nel mio ultimo racconto (Nella mente di un misantropo animalista (spoiler: muoiono tutti)); anzi, si può dire che l’abbia scritto proprio per concretizzare a parole questa mia fantasia.
Concedetemi un paio di paragrafi per pubblicizzarlo, ché a qualcuno potrebbe venire la voglia di leggerlo.
Ci tengo a farlo conoscere più di tutti gli altri e-book perché è quello che meglio mi rappresenta, tanto che lo considero il racconto definitivo.

Non è autobiografico, ma ho molti elementi in comune col protagonista: siamo entrambi animalisti, vegani, atei e astemi.
E, più di ogni altra cosa, odiamo gli umani e amiamo i gatti.
Il racconto nasce in un momento in cui mi arrovellavo per capire come fare ad aprire un rifugio per gatti.
Non avendo trovato risposta (e non avendola nemmeno tuttora), la fantasia prese il sopravvento e, a modo mio, diedi vita a un’utopica realtà di un mondo senza umani e con solo gli animali presenti.
Quella versione rinnovata della Terra ospitava tutti gli animali, e intendo proprio tutti: ogni animale ancora in vita in quel momento e tutti gli altri resuscitati per l’occasione.
Mammiferi, pesci, insetti… e anche i dinosauri.
Era diventato un pianeta per miliardi e miliardi di animali, con l’ulteriore modifica di non necessitare più di uccidere per nutrirsi o accoppiarsi, rimanendo vivi e in salute per l’eternità.
Non dirò di quale tipo di potere il protagonista si servì per giungere allo scopo né come modificai la Terra per farceli stare tutti: dico solo che, anche in quel caso, emerse prepotente in me l’esigenza di creare uno spazio solo per i gatti: Nekojima, che in giapponese significa “isola dei gatti”.

Nekojima è un paradiso nel paradiso destinato esclusivamente ai piccoli felini.
Per tenere fede al nome l’ho ideata isolata da tutti gli altri continenti, altrimenti che isola sarebbe?
Immaginate un’imponente catena montuosa tutta intorno come barriera protettiva; lo so che non si sarebbe mai più verificata alcuna situazione pericolosa, ma intendevo conservare e applicare il concetto di isolamento ai massimi livelli.
Quindi abbiamo una catena montuosa, poi ci sono le colline e metà strada e infine una vasta pianura; penso si possa immaginare l’isola come se fosse una conca.
Anche le condizioni meteo sono state adattate all’occorrenza per rendere la permanenza dei gatti più piacevole nelle zone interne e comode di Nekojima; la temperatura si assesta sempre su minime e massime tollerabili senza tanti problemi.
Ovviamente l’ambiente è incontaminato, senza alcun segno di urbanizzazione: fiumi, prati, boschi, laghi e via dicendo.
Su Nekojima vivono miliardi di gatti, ma nemmeno io posso stimare un numero approssimativo perché vanno considerati tutti i mici che hanno lasciato le proprie orme sulla Terra da quando ha iniziato a ospitare la vita e considerando la specie Felis silvestris.
Il medesimo discorso si applica anche agli altri animali che popolano il resto del pianeta, grandi o piccoli che siano; ma torniamo su Nekojima.
Manterrò il riserbo su come sia stato possibile creare quest’isola e sulle modifiche geografiche e biologiche adottate per renderla vivibile.
Tuttavia credo di non peccare di superbia dicendo che, se amate i gatti, Nekojima può essere anche il vostro luogo ideale, fatato e incantato nel quale vorreste che vivessero.
Il finale a sorpresa penso sia in linea con quanto espresso nei vari capitoli del racconto, perché il protagonista scoprirà che, essendo anche lui umano, gli toccherà morire esattamente come i propri simili; niente trattamenti preferenziali nemmeno per lui, in poche parole.
Acquistate il racconto se, per un po’ di tempo, sentite il desiderio di evadere con la fantasia da un mondo che ogni giorno diventa sempre più brutto e inospitale, soprattutto per gli animali.

Scrivere quel racconto è stato catartico,
Mi è servito per evadere temporaneamente, ma ne sono uscito più insoddisfatto di prima.
Se riuscissi nell’improbabile intento di aprire un rifugio per gatti finirei sempre e comunque per fare paragoni con Nekojima; non vuol dire che mi farei scappare l’occasione, ma il punto di riferimento sarebbe qualcosa di irraggiungibile anche se avessi tutti i soldi del mondo.
Qualsiasi soluzione possa trovare per aiutare i mici che incontro, sbatterei la testa contro una realtà che rimarrà per sempre inalterabile.
Sono consapevole che niente di quello che potrò realizzare mi renderà felice, perché quel sentimento così estremo è diventato un concetto irreale, solipsistico.
Si dice che, visto che si sogna, sia meglio farlo in grande.
Ebbene io l’ho fatto, ma a che prezzo…

Vittorio Tatti

Ennesima ripartenza

Nel caso non l’abbiate notato, ho azzerato il blog. Nel senso che ho cancellato tutti gli articoli (tranne quelli che più mi rappresentano) scritti prima di oggi.
Ero indeciso se chiudere il blog e aprirne un altro o continuare con questo, ma sinceramente non riesco a immaginare un desiderio più grande dell’estinzione umana. Per il momento sono ancora presente nel secondo blog.
Da oggi non includerò più immagini generate dall’IA, perché ho letto che la loro creazione ha come conseguenza un elevato impatto ambientale.
Anche se c’è già una pagina che sintetizza chi sono, ne approfitto per presentarmi brevemente a chi si è aggiunto/a di recente.

Le cose più importanti di me da sapere sono due.
La prima è che sono misantropo. Odio la specie umana, l’antropocentrismo, l’ingiustificata credenza dell’essere umano di poter disporre a proprio piacimento dell’ambiente e degli animali. L’unica soluzione per mettere fine a questo scempio è una: l’estinzione umana senza possibilità di redenzione, la morte totale di ogni singolo umano presente sul pianeta.
La seconda è che sono animalista, con tutto ciò che ne consegue. Sono vegano per logiche ragioni: è facile dire di amare gli animali e continuare a nutrirsene. Ho le mie preferenze: adoro i gatti (al momento ne ho tredici) e non sopporto i cani (sono troppo legati, da un punto di vista evolutivo, agli umani).
Riepilogando: misantropo, animalista, vegano, gattofilo/gattaro. Questo mio essere è sintetizzato alla perfezione nel racconto Nella mente di un misantropo animalista (spoiler: muoiono tutti). Qui descrivo nei tempi e nei modi quella che ritengo essere la mia fantasia definitiva e in nessun altro modo eguagliabile, né ora né mai.

Sono single. Anzi, utilizziamo il corretto termine italiano: celibe. Lo sono anche per scelta. Non mi dispiacciono le relazioni sentimentali, a patto che la lei di turno sia in buona percentuale compatibile. In sua mancanza, anche nella solitarietà sto benissimo.
Quando dico “lei” intendo una femmina vera (cit. Rowling). Quindi una femmina munita di vagina fin dalla nascita. Trattandosi di intimità pongo dei paletti assolutamente invalicabili: niente gay e niente trans. Sono eterosessuale fino al midollo e non sono assolutamente curioso di sperimentare qualcosa di diverso.
Non ho e non voglio avere figli: il mondo è già sovrappopolato a sufficienza.

Mi ritengo una persona molto casalinga e questa attitudine si riflette anche nelle mie passioni: scrivere, leggere, guardare film, serie tv e anime, videogiocare. Odio viaggiare, soprattutto perché starei a contatto con la gente per un tempo indefinito. Se potessi non uscirei di casa nemmeno per fare la spesa.
Tuttavia non mi dispiace passeggiare di tanto in tanto in dolce compagnia. Mete privilegiate: campagna boschiva, mare (in inverno), librerie, musei e centri storici (se non ci sono fiere, sagre ed eventi). Ovviamente escludo a priori acquari, zoo, circhi e ogni luogo di detenzione e sfruttamento animale.

Adoro l’isolamento, più che altro dagli umani. Con risultati deludenti aspiro da tempo a cercare di trasferirmi in una casa indipendente e isolata. Non m’interessa stare in una villa con piscina e giardino: l’importante è che sia abbastanza grande per ospitare me e i gatti. E che il vicino di casa più vicino sia a qualche chilometro di distanza da me.
Se ne avessi la possibilità vivrei con somma gioia in un rifugio antiatomico perché, insieme all’isolamento, mi inebriano il silenzio, il buio e gli ambienti claustrofobici.

Al momento svolgo il lavoro di bibliotecario. Per le ragioni elencate sopra preferirei lavorare e vivere in un rifugio per animali (sottinteso: in un luogo isolato), meglio se con gatti e senza cani.
Sono ateo agnostico, non sono né scaramantico né superstizioso. Credo solo in quello che vedo, e a volte nemmeno in quello. Salvo evidenti prove a disposizione, considero gli umani inaffidabili a prescindere.
Detesto ogni forma di religione. Mi fido della scienza, ma non l’approvo per la sua mancanza di etica quando si tratta di sottomettere, sfruttare e uccidere gli animali. In questo senso religione e scienza continuano a conservare entrambe una visione disgustosamente antropocentrica.
Detesto gli umani tanto quanto i loro vizi: alcolici, sigarette, droghe, gioco d’azzardo e tutto ciò che crea dipendenza.

Adesso ne approfitto anche per annunciare l’uscita del mio ultimo romanzo: L’ultima impronta sulla terra.
Proposto inizialmente tramite una casa editrice che non mi ha sostenuto a sufficienza sul fronte promozionale, ho chiesto e ottenuto la rescissione anticipata del contratto. Libero da qualsiasi vincolo, ho deciso di autopubblicare anch’esso.
Sicuramente da solo non ho né i mezzi né la volontà di dilungarmi troppo in pubblicità atte a venderlo. Come dico sempre: chi vuole acquistarlo lo acquisti, altrimenti pazienza.
Vi lascio con la trama e la presentazione. Se avete domande chiedete pure.

In una Genova di una realtà parallela si svolgono le avventure di tre giovani amici: Roberto, Elena e Michael. In seguito all’improvvisa comparsa di mostri dalle origini sconosciute, il gruppo cerca di sopravvivere quasi clandestinamente in un mondo nel quale l’umanità è stata completamente annientata, prima ancora che dai mostri, dalla mancanza di valori etici e morali annichiliti da potenti influencer. Riusciranno i tre amici a resistere o soccomberanno? L’umanità tornerà com’era prima? E sarebbe veramente un bene se accadesse?

Sono stato motivato a scrivere questa storia per la tematica di base affrontata (l’abuso della tecnologia), ma anche perché ho trasmesso un po’ di me in ognuno dei cinque personaggi principali presenti nel racconto.
Essendo cresciuto col Commodore 64 nella seconda metà degli anni ’80 (quando i computer erano roba da nerd sfigati), ho assistito prima allo sviluppo tecnologico in ambito domestico e poi al lento declino intellettivo, sociale e morale della massa a causa dell’analfabetismo digitale (e non solo…). Ne parlo per esperienza diretta, non servendomi di nozioni apprese da fonti esterne non verificate.
È come se, a un certo punto della scala evolutiva dell’homo sapiens, qualcosa si fosse inceppato e avesse intrapreso il cammino inverso, ma con gli smartphone al posto delle clave.

Questo declino ha portato alla nascita di mostri quali social network e influencer egomaniaci o addirittura con tendenze criminali. Ed è su di loro che si concentra la mia cinica, ma verosimile e fondata, critica.
Plasmando le avventure dei cinque protagonisti mi sono ritrovato spesso a pensare tra me e me: “Possibile che sia l’unico a essere profondamente disgustato dalla brutta piega che ha preso la società?”. E me lo chiedo pure adesso, mentre mi rivolgo direttamente a voi: possibile che solo io mi senta un alieno in un mondo quasi del tutto privo di etica e morale (soprattutto nei confronti degli animali)?
Se è così, nessuno si stupisca che sia diventato misantropo. Se invece non lo è, possiamo provare a intraprendere insieme un viaggio alla (ri)scoperta di valori perduti o di celebrarne di nuovi.

I cinque protagonisti mi rispecchiano, soprattutto due di loro. Perché questa storia non è solo pregna di odio nei confronti della società e degli umani, ma anche di amore nei confronti degli animali. In primis i gatti.
Essere animalista, vegano e gattaro/gattofilo estremizza ancora di più i miei sentimenti negativi indirizzati ai miei simili. C’è da stupirsi?
Nel 2024 sembra ancora fantascienza il desiderio di vedere gli animali finalmente liberi dal giogo dell’antropocentrismo. Eccolo il vero male della nostra epoca: l’antropocentrismo, il ritenerci superiori agli animali sotto ogni aspetto.
Non ci siamo ancora evoluti. Forse non ci evolveremo mai.
Ripongo le mie uniche speranze in un qualche tipo di evento apocalittico che possa condurci all’estinzione. Con le buone o con le cattive.
Chiamate questo evento come volete: karma, giustizia, castigo divino. Sfido lo stesso chiunque a ribattere che non sarebbe meritato.

Vittorio Tatti